Le tribù milionarie di Art Basel
Lifestyle

Le tribù milionarie di Art Basel

Nata nel 1970 dall'idea di un gruppo di galleristi locali, è diventata nel giro di pochi anni la fiera d'arte moderna e contemporanea più influente al mondo. In continua espansione: dal 2002 sverna oltreoceano con la fortunatissima Art Basel Miami Beach. E l'anno prossimo approderà in Asia con la nuova sede di Hong Kong

di Francesco Bonami

Dal 14 fino al 17 giugno si può visitare Art Basel , la fiera d’arte più importante del mondo. Chi ci va in questi giorni sappia però che l’olimpo del mondo dell’arte considera la gente arrivata a Basilea dopo i tre giorni dedicati ai vip, ossia l’11, 12 e 13 giugno, dei "loser": degli sfigati, insomma.

Anche all’interno della tribù degli eletti tuttavia esistono distinzioni. I vip non sono tutti uguali, anche fra loro ci sono le serie A, B e C. Alla prima categoria appartengono quelli che a Basilea non vanno nemmeno, ma comprano ugualmente e a prezzi carissimi. Un nome? Carlos Slim, l’uomo più ricco del mondo. A ridosso di que sta élite che manco si sporca le scarpe con la polvere degli stand sono i superconsulenti: Philippe Segalot, Sandy Heller, Thea Westreich, Allan Schwartzman. Lavorano al servizio dei collezionisti più potenti, dal californiano Eli Broad al russo Roman Abramovic. Loro entrano in fiera anche quando non sarebbe permesso, alcuni travestendosi da inservienti, in modo da avere non la prima, ma la primissima scelta delle opere. Spesso, infatti, le opere migliori non sono nemmeno in vendita, essendo già state acquistate da qualche informatissimo collezionista prima ancora di essere appese al muro. Come se un alimentari mettesse in vetrina le mozzarelle già vendute.

Poi ci sono collezionisti come il padrone di Gucci, François Pinault, o quello di Vuitton, Bernard Arnault, che ragionano di testa loro: non si affidano a consulenti, ma ascoltano le voci di corridoio per poi agire da soli, spesso comprando il meglio senza troppi salamelecchi.

Dopo questa crème arrivano i collezionisti di mezza classifica: gente che acquista, ma non si svena. La lista è lunga. Si parte da Patrizia Sandretto e si arriva a Rosa de la Cruz di Miami, passando per Stefan Edlis di Chicago o Dakis Joannou di Atene. Il loro portafoglio ha diverse misure e le loro collezioni sono diverse e con diversi obiettivi. Alcuni vogliono la grande opera d’arte, altri il trofeo per fare rimanere a bocca aperti gli ospiti a cena. Sempre di più cercano l’investimento. Comprare a 10 per poi rimettere in asta dopo un paio di anni a 20. Lo scherzetto però non funziona sempre.

Dopo consulenti e collezionisti ci sono i direttori dei più importanti musei, da Nicholas Serota della Tate di Londra a Glenn Lowry del Moma di New York. Spesso accompagnati da qualche benestante sostenitore del museo disposto a comprare con i propri denari un’opera da regalare al museo che di suo non avrebbe le possibilità. Fra le più generose, Paolina Karpidas, una simpatica signora che non si tira mai indietro.

Dopo i direttori, ecco i curatori degli stessi musei, questi spesso alla testa di un gruppo di amici del museo, più corposo ma meno generoso. Fanno un po’ da ciceroni della fiera e i loro accompagnatori spesso appartengono alla categoria di quelli che in America vengono definiti «tire kicker», come quelli che vanno nei concessionari di auto di lusso e facendo finta d’intendersene danno un calcetto agli pneumatici (da cui l’espressione tire kicker), pongono un sacco di domande ma alla fine non comprano mai. È la categoria più odiata dai galleristi, fanno perdere tempo e sfuggire i clienti. Altra insidia: succede di scambiare un importante acquirente per un «tire kicker», errore che può costare centinaia di migliaia di euro. Ricordo ancora quando, qualche anno fa, in uno stand arrivò una signora vestita come una homeless cercando di comprare un’opera di Piero Manzoni. Nessuno la prese sul serio, lei girò l’angolo e ne comprò uno per 600 mila euro nello stand accanto. A Basilea l’abito non fa mai il monaco, anzi. Spesso il collezionista assatanato ha un aspetto dimesso, mentre il contaballe ha l’abito di sartoria.

Dopo i curatori arrivano critici e giornalisti d’arte, categorie malviste perché non comprano, ma possono scrivere commenti acidi e spiacevoli sui giornali.

Pochi, infine, gli artisti. Quelli che ci sono non fanno mai una bella figura. Ancora oggi, nell’ipocrita mentalità di questo mondo, l’artista non dovrebbe interessarsi al mercato, anche se questo gli riempie le tasche di milioni. Ma la fiera di Basilea vuole essere di più, l’ambizione è anche quella di essere evento culturale. Quindi si organizzano conferenze e tavole rotonde per attrarre artisti, curatori e intellettuali così da non farli sentire a disagio.

Poi, attorno alla fiera, ci sono i musei della città che organizzano per l’occasione mostre importanti. Alla Fondazione Beyeler, per esempio, quest’anno una retrospettiva di Jeff Koons. Dopo di che, finito il teatro dell’anteprima, si aprono le porte al pubblico. Il quale non potrà nemmeno sapere il prezzo di un’opera d’arte, nel caso la si volesse acquistare. Sono cifre che possono essere rivelate solo agli iniziati del sistema. Quindi, uomo comune che vuoi varcare la soglia di Art Basel, puoi anche non lasciare ogni speranza quando entri, ma il portafoglio puoi tenerlo a casa perché qui servirà solo a pagare un espresso 5 franchi svizzeri.

I più letti

avatar-icon

Panorama