Ken Follett: le lezioni che non impariamo dalla storia
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Ken Follett: le lezioni che non impariamo dalla storia

In Italia per presentare "I giorni dell'eternità" lo scrittore spiega perché il mondo è migliorato, ma sui diritti non bisogna abbassare la guardia

"Nonostante guerre, cataclismi, carestie e terrorismo", per Ken Follett "viviamo in un mondo decisamente migliore rispetto a quello che era 100 anni fa, allo scoppio dalla prima guerra mondiale. Parlando della mia esperienza, basterebbe ricordare che mio nonno a 13 anni fu costretto a scendere a lavorare in miniera, mentre io, suo nipote, sono potuto andare regolarmente a scuola".

Conclusa la sua poderosa narrazione (oltre tremila pagine) del nostro Novecento con l'uscita di I giorni dell'eternità, ultima parte della Century Trilogy (edita come tutti i suoi libri da Mondadori), lo scrittore inglese dichiara di avere "una visione positiva e ottimistica del futuro". Spiega così che "basta pensare che nel 1914 solo Inghilterra e Francia potevano dirsi paesi democratici (anche se, per esempio, le donne non avevano diritto al voto), mentre oggi tutti i paesi d'Europa lo sono e la gente sta meglio. Allora la maggioranza non poteva nemmeno permettersi un medico per il figlio malato, oggi ne hanno diritto più o meno tutti". Dice che è la sua visione del mondo e che scrivere di storia, come ha fatto lui, è sempre un gesto politico o almeno ideologico, e spera che "dalle pagine di questi tre libri si capisca quali sono le mie idee e anche le mie idiosincrasie, pur cercando io poi di essere il più obiettivo possibile nel raccontare fatti e personaggi. Per esempio, la figura più brillante è un uomo reazionario lontano dalle mie idee, ma in cui mi sono immedesimato sino in fondo per trovarvi quel che di intelligente c'era anche nelle sue posizioni. Allo stesso modo il presidente Nixon, che come tutti negli anni '70 io odiavo, ne esce meglio che da qualsiasi altro libro uscito negli ultimi anni, perché mi sono accorto che, a parte il Watergate, ha fatto molte cose buone per il suo paese e ho cercato di esaltarle".

Se raccontare la storia serve a farla conoscere, a cercar di far capire alla gente da dove viene, magari per capire dove sta andando, è anche vero per Follett che "la storia è difficilmente maestra di vita, tanto che, come sempre, da una grave crisi economica e sociale traggono profitto gli estremisti e il populismo, e lo dimostra oggi la vittoria delle destre in molti paesi europei, pur sapendo che dovrebbe preoccuparci, perché è pericoloso avere leader che affermano di odiare gli stranieri". In quest'ottica, quel che del futuro preoccupa di più lui, che dice di amare sopra tutti i suoi personaggi storici Martin Luther King, è proprio "l'odio tra la gente, tra razze, religioni e nazionalità diverse, anche se oggi c'è molta più tolleranza di un tempo, al di là delle apparenze, e poi la paura di perdere la libertà, perché i diritti civili acquisiti non lo sono per sempre e bisogna combattere tutti i giorni per difenderli e conservarli. Appena si abbassa la guardia può accadere quel che sta accadendo in Ungheria, dove sta per passare una legge contro la libertà di stampa e informazione".

A Roma per presentare la Century Trilogy, sabato Ken Follett sarà sul treno Italo in partenza alle 14.40 e firmerà a tutti i viaggiatori copie dei suoi libri sino all'arrivo a Milano, dove domenica sarà alla libreria Mondadori del Duomo. E parla un po' di tutto, dal suo amore per Il gattopardo, "specie per la ricchezza e forza della lingua", così diversa dalla sua, a Papa Francesco che "sta rimediando ai danni materiali e morali che hanno fatto alla chiesa i Papi conservatori"; del suo amore per le grandi narrazioni classiche dell'Ottocento, da Balzac a Zola, da Dickens alla Austen, e della scoperta, "come molti solo dopo il Nobel, di Patrick Modiano, autore molto divertente", mentre confessa di non essere mai riuscito a leggere Il signore degli anelli. 

Il suo metodo di lavoro si basa sul farsi tante domande: "Ho un'idea, la scrivo in una frase, poi ci lavoro e la amplio a qualche paragrafo, poi inizio a chiedermi tutte le cose possibili relative alla situazione o il personaggio pensato, il passato, le idee, i sentimenti, cosi' da arrivare in 6/12 mesi a un canovaccio essenziale e solo allora inizio a provare a scrivere il primo capitolo". Quanto a quel che sta scrivendo ora dice che, dopo I pilastri della Terra e Mondo senza fine, che si svolgeva sempre nel paese da lui inventato di Kingsbridge duecento anni dopo, ha fatto un salto di altri duecento anni "arrivando all'epoca di Elisabetta I, che creò il primo servizio segreto della storia per difendersi dai suoi tanti nemici, riuscendo a vivere sino in tarda età grazie a quei sistemi che ancora esistono, dai codici cifrati agli inchiostri simpatici o i doppiogiochisti", perché, commenta, "certe cose sono eternamente le stesse". (ANSA).

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