Intervista a Giovanna Melandri: "Non sono una bella statuina"
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Intervista a Giovanna Melandri: "Non sono una bella statuina"

Aveva promesso che non avrebbe percepito stipendio. "Ebbene sì, lo prenderò da settembre, ma sarà sobrio". Le lezioni di yoga nel museo? "Giustissime, hanno richiamato centinaia di visitatori". Il suo partito, il Pd, che non l’ama più? "In Italia si è persa la tenerezza". La presidente del Maxxi di Roma va al contrattacco. Convinta che a dare fastidio sia solo il suo "successo"

I container da terremotati in cui ha alloggiato i suoi uffici, che bloccano la vista del Maxxi per un lato e sui quali l’hanno attaccata duramente? "Li ha visti anche Zaha Hadid e ha detto che vanno benissimo. Anzi, dopo che ci saremo trasferiti nell’ex caserma antistante l’ingresso, penso di tenerli" come incubatori per imprese legate all’arte. Non dice proprio così, Giovanna Melandri, 51enne presidente del Maxxi che produce e attira polemiche come una calamita. Dice, testuale, "come hub di start-up per uno smart museum". Perché lei, nata in America ed elettrice di Barack Obama, al suo inglese tiene molto, anche se a volte cade sulle preposizioni ("Dobbiamo mettere l’Italia in the map", ma sarebbe "on the map"). E però è tosta, e ai commenti spesso gelosi di chi nel partito e fuori la vuole "superraccomandata" è abituata. "Rispondo alle bugie con le querele" fa con un sorriso "e sto diventando ricca".

A proposito, com’è finita con il suo stipendio? Dopo le polemiche sulla sua nomina, in odore di lottizzazione, lei aveva detto: "Vado gratuitamente a rilanciare un’istituzione pubblica". Poi ha cambiato idea...
Lo prenderò da settembre-ottobre. Nell’ottobre 2012, quando ho accettato l’incarico, sapevo che il Maxxi era una fondazione e che in base alla legge Tremonti avrei prestato la mia opera gratuitamente. Legge sbagliatissima, me lo si lasci dire, perché la cultura ha bisogno di grandi manager, e questi vanno pagati. Sapevo anche che era in corso una procedura, avviata dai precedenti amministratori e conclusa ad aprile, per il riconoscimento del Maxxi come ente di ricerca. Ho detto all’allora ministro dei Beni culturali, Lorenzo Ornaghi: "Comunque vada, per un anno regalo il mio tempo prezioso". Ho sbagliato: dovevo dire che non appena avrei potuto prendere uno stipendio me lo sarei preso, eccome. Scherzo, ovviamente. Ma sarà uno stipendio sobrio, pari a quello di altri dirigenti. Certo, uno stipendio giusto dev’essere legato ai risultati. E i miei sono buoni. Abbiamo già raggiunto in luglio l’obiettivo annuo di 1 milione 300 mila euro raccolti da privati.

Ecco, parliamo di Ornaghi. Dicono che la sua nomina gliel’avesse suggerita Salvo Nastasi, potente capo gabinetto del ministero, nonché genero di suo cugino Gianni Minoli, già nominato presidente del Museo di arte contemporanea di Rivoli.
Una polemica pietosa. Lo sanno tutti che avevo già deciso di non ricandidarmi.

Anche perché, dopo cinque legislature, avrebbe dovuto chiedere la deroga al Pd.
Non l’avrei fatto. Non con un partito, il Pd, cui adesso guardo da lontano e a cui rimprovero di non avere cambiato la legge elettorale. Dopo l’elezione di François Hollande in Francia, il Pdl si era convinto: un errore gravissimo da parte di Pier Luigi Bersani. Che io fossi indignata col Pd era noto. E forse per questo in tanti non mi hanno voluto bene. Comunque, avevo già deciso di dedicarmi esclusivamente alla Uman, la fondazione di finanza sociale per cui ho tanto lottato, e nel cui consiglio militano dal premio Nobel per la pace Muhammad Yunus a John Podesta, a Jacques Attali. Poi è arrivata la chiamata istituzionale.

Inaspettata...
Ma lei lo sa chi ha lanciato il concorso internazionale per la progettazione del Maxxi? Chi ha lottato per questo edificio negli anni del berlusconismo più duro, quando tutti i fondi per la cultura erano bloccati? Parliamo delle polemiche vere, non di "fuffa". Ce l’hanno con me perché, da ministro dei Beni culturali, decisi d’investire risorse importanti per realizzare un centro per l’arte e l’architettura contemporanea. Con una procedura non italiana, e cioè un concorso cui hanno partecipato i più grandi architetti del mondo. Purtroppo le lungaggini fecero lievitare le previsioni di spesa (alla fine il Maxxi è costato 150 milioni di euro, ndr).

Questo posto è un po’ la sua creatura, insomma: non potevano non farla presidente. Tutte cattiverie, quindi, quelle di giornalisti come Giancarlo Perna: ha scritto che di lei, come ministro dei Beni culturali, rimane solo il ricordo della nursery che installò nello studio per le poppate di sua figlia Maddalena.
Attenzione, con Perna ho vinto una querela.

Ma perché, da destra a sinistra, ce l’hanno tutti con lei?
Non è proprio così. Non lo so, non me lo spiego, ma alcuni sono ossessionati. Il fatto è che in Italia si è persa la tenerezza. Negli Stati Uniti se il tuo vicino ce la fa sei contento; da noi rosichi. Fui io a portare, nel 2001, le risorse della cultura al massimo storico: 2,7 miliardi di euro. Nel 2011 erano piombate a 1,8 miliardi. Poi, per carità, se dovessi fallire nel rilanciare questo Paese, allora distruggetemi pure. Lapsus: volevo dire se dovessi fallire nel rilanciare il Maxxi.

È stata freudiana. Insomma, lei dice che è il successo a dare fastidio. Ma che c’entrano le lezioni di yoga con l’architettura contemporanea?
In un centro internazionale, accanto a William Kentridge, Luigi Ghirri, Alighiero Boetti e Francesco Vezzoli, trovano spazio anche le attività di animazione. Lo yoga è un’antichissima arte orientale. Quelle lezioni hanno registrato un’affluenza straordinaria, con centinaia di persone che non conoscevano il Maxxi e ora ne sono fruitori abituali. E poi dov’è lo scandalo? Qui il bilancio è di 10 milioni di euro. Solo per illuminarlo, riscaldarlo e aerarlo ce ne vogliono 6. In un momento in cui i consumi culturali sono in picchiata, la nostra sfida è raggiungere il milione di visitatori entro pochi anni. Per questo ho promosso una serie di attività volte a fare aumentare la popolarità del Maxxi. Come i saldi a gennaio, adesso in replica d’estate, gli accordi con il concorso ippico di piazza di Siena e i concerti al Foro Italico e con i tour operator che portano i pellegrini dal Papa. 

Un Maxxi molto pop, insomma.
Ho ereditato questa struttura che era in dissesto. Quando sono arrivata, ho trovato bollette dell’Enel non pagate per 600 mila euro. Con la nostra cura, nei primi cinque mesi del 2013 il pubblico del Maxxi è aumentato del 30 per cento rispetto allo scorso anno, del 40 per cento nel mese di giugno. Dobbiamo smetterla con la spocchia culturale. In Italia serve una santa alleanza fra pubblico e privato.

Come quella tra Matteo Renzi e Luca di Montezemolo per l’evento della Ferrari a Ponte Vecchio?
Perché no? Non ci trovo nulla di scandaloso. Come per Diego Della Valle al Colosseo. Anzi, ho sentito che un big come la Salini vorrebbe offrire risorse per il rilancio di Pompei e sta incontrando difficoltà. Questo mi dispiace molto.

È salita anche lei sul carro di Renzi?
Il Pd ha fatto un gravissimo errore a concepire le primarie come trincea difensiva contro di lui. Delirante. Ma nel cerchio magico di Bersani non si entrava (Melandri fa una smorfia). Gente talmente impegnata a presidiare la propria metà campo da sbagliare il rigore a porta vuota. Ora vorrei che si consentisse a Renzi una corsa vera.

Massimo D’Alema un giorno lo attacca e uno lo sostiene.
Renzi è grande abbastanza da non avere bisogno dell’endorsement di D’Alema. Però una cosa voglio dirla: per ricostruire il Pd bisogna partire dalla verità, portando alla luce i 101 parlamentari che non hanno votato Romano Prodi al Quirinale. Non si può ricostruire un partito su un’imboscata.

E Walter Veltroni?
È una risorsa per il Paese.

Proprio quello che Bersani diceva di Renzi.
Ma io a Walter voglio molto bene.

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