Marvel comics: una storia di eroi e supereroi
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Marvel comics: una storia di eroi e supereroi

Tutto quello che avreste voluto sapere ma che nessuno vi ha mai raccontato sulla Marvel adesso lo trovate in un libro.

Sono gli anni '70 a New York. Mentre la disco-music diventata un religione, Nixon viene travolto dallo scandalo Watergate e in strada gli studenti esultano ancora per la fine della guerra del Vietnam, un uomo con un cappello a elica in testa sta saltellando in piedi sulla scrivania tirando calci e pugni nel suo ufficio di Madison Avenue: porta il tupè, ha una cinquantina d’anni e -anche se non si direbbe- è una delle menti più brillanti della sua generazione. Si chiama Stan Lee ed è il capo della Marvel, la più importante casa editrice di fumetti del mondo. Ma facciamo un passo indietro.

La storia della Marvel, raccontata da Sean Howe in Marvel comics. Una storia di eroi e supereroi , comincia come la più classica delle storie americane: con il sogno di un ragazzino affamato. Quando suo padre cadde da un tetto rompendosi la schiena, Martin Goodman si trovò a essere l’uomo di casa. Aveva appena la quinta elementare e dodici fratelli a cui pensare, così iniziò la sua carriera di strillone. Non ci volle molto perché venisse promosso venditore ambulante e infine rappresentante. Ma quello delle riviste pulp non era un mercato facile e quando di lì a poco la società per cui lavorava fallì decise di mettersi in proprio fondando con due soci una casa editrice di giornaletti western, romantici e di spionaggio. A soli venticinque anni aveva già due decine di riviste da mandare avanti.

Erano gli anni '30 e cominciavano ad apparire i primi fumetti: strisce umoristiche per i quotidiani, merchandising della Procter & Gamble, pubblicità, ma si trattava ancora di qualcosa di molto lontano da quelli che oggi potremmo definire “comics”. Fino a quando nel 1938 due ventitreenni di Cleveland mescolando il pulp, la fantascienza, i miti classici e l’idealismo del New Deal crearono un nuovo personaggio che avrebbe fatto la storia, Superman, e con lui il fumetto dei supereroi.

Goodman si accodò alla tendenza e in un batter d’occhio fondò la Marvel Comics. I primi supereroi erano violenti e straordinari: personaggi come la Torcia Umana e Sub-Mariner combattevano fra i grattacieli di New York senza esclusione di colpi, abbattendo palazzi e scatenando terribili ondate nella baia che sommergevano qualunque cosa nel raggio di svariate miglia. Mentre Superman e Batman difendevano Metropolis e Gotham City, negli albi della Marvel erano New York e le strade percorse ogni giorno dai giovani lettori per andare a scuola a essere costantemente in pericolo, e questo li eccitava moltissimo.

Fu proprio in quei giorni che il mitico Stan Lee fece la sua prima apparizione. Cugino di un cugino, venne assunto da Goodman per restituire un vecchio favore e cominciò la sua carriera svuotando i posacenere della redazione e tappando i buchi qua e là. Ma presto si fece notare per la qualità del suo lavoro e i capi cominciarono ad affidargli sempre più storie finché, a diciotto anni, si ritrovò a essere caporedattore. Fu allora che i fumetti Marvel fecero il salto di qualità.

Per quanto amasse passare il tempo con un cappello a elica in testa a mimare i combattimenti delle sue storie (abitudine che mantenne fino a età avanzata), Stan Lee era uno scrittore straordinario e aveva un’idea molto precisa di quello che secondo lui sarebbe dovuto essere l’universo Marvel: un mondo in cui ogni ragazzino del mondo avrebbe imparato a riconoscere le proprie debolezze e i propri superpoteri per affrontare il quotidiano, ma soprattutto un universo dove ci si sarebbe divertiti da pazzi.

I fumetti erano il mondo e come tali col mondo dovevano confrontarsi. Nell’era di Lee, i fumetti affrontarono per la prima volta le questioni razziali, esplorarono e si lasciarono influenzare dalle controculture, presero posizione nelle battaglie per i diritti civili e sulle questioni di genere. L’obiettivo di Stan, liberal all’acqua di rose, era quello di non scontentare mai nessuno affrontando le questioni più scottanti con entusiasmo progressista ed equidistanza democristiana. Lo scandalo non era contemplato alla Marvel: se la questione era eccessivamente controversa, e le lettere dei lettori non davano indicazioni a sufficienza sull’orientamento del pubblico, si lasciava tutto in sospeso finche non era assolutamente impossibile continuare a non pronunciarsi. Fu il caso ad esempio della guerra in Vietnam: fino all’ultimo sui fumetti Marvel non comparvero prese di posizione o rappresentazioni di contestazioni giovanili e, quando dopo molte pressioni da parte dei lettori questo accadde, vennero inviati segnali contraddittori. Piuttosto che rischiare di perdere migliaia e migliaia di copie con uno schieramento netto, fu ritenuto più saggio confondere i lettori.

Ma sull’universo Marvel non brillavano ovunque le stesse costellazioni di valori. Mentre fumetti come Capitan America incarnavano lo spirito più tradizionalista e conservatore dei valori americani (nacque -per mano di Joe Simon e Jack Kirby- in piena guerra mondiale per combattere la minaccia nazista), eroi come il Dottor Strange esploravano le frontiere della controcultura e dell’avanguardia letteraria. Fra questi due estremi, viveva l’universo che i fan della Marvel hanno sempre amato: interiorità contorte e sofferenti, eroi divisi fra volontà e necessità, personaggi fragili e invincibili in cui ogni adolescente si sarebbe potuto immedesimare, sempre perfettamente calati nei fatti del proprio tempo. Quelli della Marvel erano gli eroi di cui l’America aveva bisogno nel momento in cui ne aveva bisogno.  

Nel frattempo nel mitico “bullplen” (così veniva chiamata la redazione nei bollettini settimanali di Stan) scrittori e disegnatori venivano sommersi di lavoro. Per tenere il passo con una produzione sempre crescente si dormiva nei sacchi a pelo sotto le scrivanie, si disegnava dappertutto, si inchiostrava nella vasca da bagno e  chiunque passasse di lì veniva reclutato sul momento per dare una mano con le cose più urgenti.

Tenere il filo delle storie era diventato difficilissimo da quando Lee aveva deciso che gli eroi della Marvel vivevano tutti nello stesso mondo: se l’Uomo Ragno interveniva in una storia dei Fantastici Quattro non sarebbe potuto ricomparire su Hulk per il mese successivo, e se Ciclope fosse accorso in suo aiuto chi lo avrebbe sostituito sugli albi degli Xmen? Le trame della Marvel cominciarono a moltiplicarsi in tutte le direzioni costringendo i lettori a comprare sempre più albi per restare al passo con le storie, per la gioia dei vertici della società e la disperazione della redazione.

La situazione era aggravata anche dal cosiddetto “metodo Marvel”. Per cercare di seguire le centinaia di storie che ogni mese arrivavano nelle edicole, Stan aveva smesso di scrivere sceneggiature tradizionali e particolareggiate per limitarsi a degli abbozzi che i disegnatori e i supervisori avrebbero poi dovuto sviluppare secondo il loro ingegno. Era un metodo creativo prossimo alla follia per un’azienda che ogni mese mandava nelle edicole oltre 50 albi differenti, eppure probabilmente fu questa una delle chiavi del successo della Marvel. Alcuni disegnatori dettero il meglio di sé, ma altri furono costretti a mollare.

Il polso della situazione, oltre che dalle vendite, era dato dalla posta dei lettori. Oltre a essere il canale ufficiale di Stan per comunicare con i fan, era la bussola che permetteva a un cinquantenne con la pancetta e il tupè di restare al passo con la moda giovanile e i gusti dei lettori quanto a costumi, possibili sviluppi delle trame, personaggi amati e odiati e via dicendo. Era lì che arrivavano le minacce di morte quando un albo che non vendeva abbastanza veniva soppresso, ed era lì che si discutevano le questioni ideologiche più importanti.

La Marvel cresceva e i lettori stavano crescendo con la Marvel, ma dietro il suo mondo non c’era solo Stan Lee. Furono decine e decine gli scrittori e i disegnatori che ne dispiegarono l’universo. Su tutti Jack Kirby, creatore o co-creatore di personaggi come Hulk, Capitan America, i Fantastici Quattro e gli Xmen, genio scenografico ed esempio indiscusso per ogni generazione che si sia avvicendata ai tavoli da disegno della Marvel. Fra gli altri dovremo ricordare almeno Steve Ditko, creatore di Spiderman e del Dottor Strange, ed Henry Miller, genio della matita quanto della penna.

Ma chi arrivato a questo punto stia pensando che il mondo dei fumetti sia tutto rose e fiori si sta sbagliando di grosso. Indice dei nomi alla mano, nel libro di Howe le morti per infarto da super lavoro, alcolismo da depressione e abuso di droghe per tenere il ritmo folle delle consegne non si contano. Così come sono stati innumerevoli gli alti e bassi del mercato, i licenziamenti, i fallimenti, gli abusi di un sistema di lavoro schiavistico, le guerre legali per i diritti d’autore e i tradimenti. Eppure generazioni e generazioni di eroi per oltre mezzo secolo hanno attraversato questo inferno sostenuti da una sola grande passione: far leggere ai lettori quello che loro avrebbero voluto leggere. Fin ora ci sono riusciti, eccome, ma il meglio deve ancora arrivare.

@giuliopasserini

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Giulio Passerini