Elogio della Germania (che ci somiglia)
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Elogio della Germania (che ci somiglia)

Non c’è solo l’anima prussiana e dominante, ma anche un’altra, mediterranea e creativa. Che potrebbe far breccia nel cuore di Angela Merkel e cambiare i destini europei

di Riccardo Paradisi

"La Germania è di fronte a un bivio: o europeizzare se stessa o germanizzare l’Europa". Il monito di Helmut Kohl all’indomani dell’unificazione tedesca e alla vigilia di quella europea sembra rivelare solo oggi tutta la preoccupata consapevolezza che lo statista tedesco ha sempre avuto del suo paese. Le due anime che si scontrano nel petto della Germania: quella meridiana, cattolica e universale, e quella conchiusa nello specifico nazionale di marca prussiana. È una storia lunga quella delle due Germanie, di cui la divisione del Muro che tagliava in due Berlino e con l’attuale capitale tedesca un’intera nazione, non rende l’idea. Perché si tratta di qualcosa d’ancora più profondo della geopolitica o dell’ideologia, qualcosa che ha a che fare con il carattere tedesco.

Con la Germania segreta. Una formula carica di enigma e di potere evocativo, coniata nel 1910 da Karl Wolfokehl, un membro del circolo intellettuale che si riuniva intorno al poeta Stefan George, il re della Germania segreta. Cenacolo di cui faceva parte anche il colonnello della Wehrmacht Claus von Stauffenberg, il capo della congiura per eliminare Adolf Hitler. Prima di essere fucilato il 21 luglio 1944, nel cortile del ministero della Guerra del Reich a Berlino, von Stauffenberg grida: "Es lebe unser geheimes Deutschland" ("Lunga vita alla Germania segreta").

È l’estrema professione di fede in una certa idea della Germania. La stessa che aveva spinto i congiurati di luglio a piazzare le bombe nella Tana del lupo per eliminare il tiranno e farla finita con il nazismo. Undici anni prima, il 14 novembre 1933, l’anno della presa del potere di Hitler, era stato Ernst Kantorowicz, biografo di Federico II, patriota e combattente nella Prima guerra mondiale, ebreo costretto da lì a poco all’esilio negli Stati Uniti, a parlare di quell’idea di Germania in una lezione tenuta all’apertura dell’anno accademico. Lezione ora pubblicata in Germania segreta (Marietti 1820), antologia di scritti di Kantorowicz a cura di Gianluca Solla. La Germania di Kantorowicz è quella di Stefan George e von Stauffenberg, ma anche di Johann Wolfgang Goethe e di Federico II. È la Germania meridiana e latina, che rigetta ogni impulso esclusivista e suprematista.

Una tentazione sempre latente nell’anima tedesca ma che il nazismo seppe sfruttare al massimo grado costruendo l’abiezione razziale e totalitaria, rispetto alla quale nessun’altra fase della storia tedesca presente e passata è ovviamente paragonabile. Ma è la vocazione universalistica della cultura tedesca che Kantorowicz indica come compito della Germania per uscire da quel rischio, ricordando con Goethe che "il perfetto tedesco dovrebbe essere sempre più che tedesco".

Nella Germania segreta confluiscono l’elemento romano e quello greco, l’elemento italiano e quello inglese, "che sono da intendersi non come diversità non tedesche ma come dati di fatto originari dell’umanità". E i più grandi tedeschi sono quelli che la Germania presume più estranei a se stessa, "nonostante essi abbiano scavato i pozzi più profondi". Accadde con Federico II e Federico il grande, con Johann Winckelmann, con Goethe che "la Germania ha reso estraneo a forza di festeggiarlo". E di questa estraneità fu oggetto anche Friedrich Hölderlin, "rifiutato in quanto romantico della grecità e di cui si ignorava volentieri la critica alla Germania perché la si percepiva come una degermanizzazione". E non meno estranei rimasero innumerevoli altri tedeschi della Germania segreta: da August von Platen a Friedrich Nietzsche, arrivando a Stefan George.

La Germania segreta porta in sé l’essenza dell’intera Europa e dei paesi del Mediterraneo: "Lì dove si desta l’elemento europeo della Germania". E così Kantorowicz parla della cattolicità come elemento essenziale ricordando la vicenda di Clemente II, papa tedesco che restò durante il suo pontificato vescovo di Bamberga e principe dell’impero; e come quella di Bruno di Toul che fu papa con il nome di Leone IX. Pontefice tedesco anch’egli, ma che volle assolvere la sua missione universale anche contro le pretese nazionali di Enrico III. Storie lontane mille anni ma attuali, considerando che sul soglio pontificio nell’Europa di nuovo a egemonia tedesca siede oggi un pontefice tedesco e universale.

"La Germania è sempre stata spaccata in due dal limes romano" dice a PanoramaMarino Freschi, il principale studioso italiano di letteratura tedesca "sopra il quale c’è la Germania della Riforma, sotto quella cattolica con zone di confine dove queste due identità si confondono e confrontano. C’è una parte della Germania tutta tesa verso Roma, con una concezione politica carolingia che è quella che ha ispirato l’Europa di Konrad Adenauer e di Kohl, e c’è una Germania che tende a chiudersi in sé. La prima è quella di Stefan George, renano, proveniente da una famiglia di commercianti di vini, formatosi nella cultura francese, la seconda quella che ispira Angela Merkel, proveniente da una famiglia luterana dell’Est tedesco. Sulla quale agisce però anche una forte attrazione verso oriente". L’antica spinta verso l’Oder è del resto un’altra delle grandi direttrici tedesche, il cui riemergere è stato favorito dallo spostamento della capitale da Bonn a Berlino.

"Il Goethe Institut" dice ancora Freschi "sta smantellando alcune sedi italiane per trasferirle in Asia e in Russia. Un’entente cordiale quella con l’Est totalmente ricambiata, visto che in Ungheria, in Polonia e più in generale nell’Europa orientale si torna a studiare il tedesco. Non in Italia, però, dove a imparare la lingua di Goethe sono sempre di meno, mentre in Germania i corsi di italiano sono diffusissimi". Inutile negare l’incomprensione profonda tra la Germania e l’Europa del Sud, che pure ha le sue colpe, anche se il trattamento riservato alla Grecia dalla Germania è terrificante. "Comunque il legame tra noi resta, come in un’attrazione fatale".

Una delle forme più belle di questa reciproca attrazione è il dipinto Italia e Germania di Friedrich Overbeck, capolavoro scaturito dalla scuola dei nazareni, il poco noto ma essenziale cenacolo artistico spirituale sorto a Roma per iniziativa d’una comunità di pittori tedeschi che all’inizio dell’Ottocento cercarono e trovarono in Italia e in particolare nel centro della cristianità la sede e la fonte della loro ispirazione. Come del resto Goethe e Thomas Mann, l’altro gigante tedesco, umanista e cosmopolita, ascritto di diritto alla Germania segreta. "Profondo destino della Germania e più ricca grandezza" scriveva George Simmel "è di comprendere se stessa e il suo contrario come proprio sé superiore". Un pensiero che sarebbe piaciuto a Stefan George e a Ernst Kantorowicz. Magari da mandare in un bigliettino con dei fiori a frau Merkel, che trascorre a Ischia le sue vacanze estive. Accompagnato da un altro: "Kennst du das Land, wo die Zitronen blühn?".  Ovvero "Conosci tu il Paese dove fioriscono i limoni?".

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