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Guai a chi tocca Don Milani

Impossibile criticarlo; le sue posizioni ideologiche sono diventate una sorta di patrimonio civile. E servono per la battaglia politica

I

processi di beatificazione della chiesa cattolica non sono certo famosi per velocità. In compenso, dalle nostre parti, la santificazione laica di alcuni religiosi è rapidissima, e una volta avvenuta di fatto è impossibile contestarla. Esempio di questa tendenza è il caso di don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana. Nato a Firenze nel 1923 da una famiglia colta e piuttosto agiata (possedeva 24 poderi, oltre a opere d’arte e palazzi storici), suo padre era Albano Milani Comparetti, chimico e uomo di lettere. La madre era Alice Weiss, ebrea non praticante di enorme cultura e importanti amicizie (frequentò addirittura James Joyce). Don Lorenzo ce la mise tutta per farsi traditore della sua classe d’origine: dopo aver frequentato con scarsi risultati il liceo Berchet a Milano rifiutò l’università per dedicarsi alla pittura con Hans-Joachim Staude, di nuovo a Firenze. Poi decise di entrare in seminario e fu ordinato sacerdote nel 1947.

La sua santificazione laica inizia con la pubblicazione di un volume intitolato Esperienze pastorali, una sorta di trattato sociologico sui suoi parrocchiani di San Donato di Calenzano (Firenze), e si completa con la celeberrima Lettera a una professoressa, firmata assieme ai ragazzi della sua scuola di Barbiana, un paesino a 460 metri sul livello del mare, nel Mugello. La Lettera uscì nel 1967, quando già i fuochi della ribellione sessantottarda cominciavano ad ardere. Lungi dall’essere un nome «scomodo», grazie a quel libro don Milani è divenuto un santino venerato e celebrato da quel «potere» che lui pretendeva di contestare.

Le principali case editrici italiane ripubblicano con costanza i suoi scritti. Mondadori ha inserito la sua opera omnia nei prestigiosi Meridiani, nonostante di meriti letterari don Lorenzo non ne abbia poi molti. Di recente Feltrinelli ha dato alle stampe una graphic novel agiografica firmata da Alice Milani, una nipote di don Lorenzo, piuttosto retorica ma molto istruttiva, poiché mostra con chiarezza quali fossero le posizioni politiche e le idee del sacerdote toscano.

Persino la Chiesa cattolica, di questi tempi, è donmilaniana come non mai. Papa Francesco ha pubblicamente lodato il priore di Barbiana dipingendolo come figura eroica che «soffriva e combatteva» per donare «dignità» al suo gregge. Nel 2017, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito don Milani un «sacerdote lungimirante e un pedagogo innovativo».

Ecco, quella celebrativa è divenuta, negli anni, l’unica narrazione ammessa. Chiunque osi sfiorare il santo laico ne ricava attacchi e reprimende. Il primo fu senz’altro lo scrittore Sebastiano Vassalli, uomo di sinistra anomalo, molto critico nei confronti del Sessantotto, che visse da insegnante. Nel giugno del 1992, su Repubblica, uscì un suo articolo intitolato Don Milani, che mascalzone, seguito da un secondo pezzo intitolato Ma allora i miti non muoiono mai. Vassalli fu costretto a replicare proprio perché era stato sommerso dalle critiche, alcune piuttosto feroci. Che cosa aveva scritto? La verità, semplicemente. E cioè che la scuola di Barbiana «era in realtà una sorta di pre-scuola (o dopo-scuola) parrocchiale, dove un prete di buona volontà aiutava come poteva i figli dei contadini a conseguire un titolo di studio, e se non ci riusciva, incolpava i ricchi». Vassalli definì quella di Milani «un’esperienza didattica forse non proprio marginale, ma simile in definitiva a tantissime altre» che «si era venuta arricchendo di un ingrediente rivoluzionario: l’odio di classe».

In effetti, il borghese (quasi aristocratico) don Lorenzo non usava mezzi termini quando si trattava di «difendere gli ultimi». Prendiamo, per esempio, ciò che Milani scrive nella Lettera a Gianni del 1956. Egli sta parlando in difesa dei contadini, e ne giustifica senza ombra di dubbio la rivolta violenta.

Nella missiva, mai terminata, spiega al suo amico Gianni che le autorità dovrebbero intervenire in difesa degli sfruttati, altrimenti costoro si solleveranno, e faranno bene. «Se no domani quando tutto il nostro mondo sbagliato sarà stato lavato in un immenso bagno di sangue e quando doman l’altro gli storici inorriditi da tanto sfacelo che avrà travolto insieme tanto bene e tanto male tenteranno di scriverne le origini e i motivi, non riusciranno a leggere fatti come questi che t’ho detto» dice don Lorenzo. Più oltre, nel testo, il prete di Barbiana scrive all’amico: «Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell’arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti. La testa di Marconi non vale un centesimo di più della testa di Adolfo davanti all’unico giudice cui ci dovremo presentare».

È interessante ricordare che il Gianni al quale è indirizzata la lettera è Giampaolo Meucci. Fu il Tribunale dei minori da lui presieduto a riabilitare (dopo l’arresto nel 1978 per abusi sessuali) Rodolfo Fiesoli, guru della comunità il Forteto, al quale di recente è stata confermata una condanna a oltre 14 anni per molestie.

Dell’ideologia di don Milani, delle sue discutibili teorie in materia di educazione, dei suoi allievi e propagandisti, però, oggi è difficile parlare con serenità. Il celebre romanziere Walter Siti, per aver accennato alla possibile omosessualità del sacerdote di Barbiana, ha subito un mezzo linciaggio mediatico, sempre nel 2017.

Qualche settimana fa, invece, è toccato a chi scrive sperimentare un poco dell’astio dei milaniani. A Bergamo è stato organizzato, il 30 novembre, il convegno Da Barbiana a Bibbiano, che voleva raccontare come un certo tipo di ideologia progressista si sia diffusa contribuendo a creare mostri e mostriciattoli in Toscana come in Emilia. Contro il convegno si sono mobilitati i sindaci del Mugello ed Enrico Rossi (presidente progressista della Regione Toscana, che per anni ha foraggiato il Forteto di Fiesoli). I democratici toscani hanno organizzato una marcia a Barbiana e pure il vescovo di Firenze, Giuseppe Betori, ha contestato il convegno ancora prima che si tenesse. A un evento analogo, programmato per il 9 dicembre a Firenze, il consiglio regionale della Toscana ha deciso di negare la sala.

Insomma, don Milani non si può nemmeno sfiorare. Eppure oggi più che mai bisognerebbe riflettere sul suo pensiero e su ciò che ha contribuito a creare. Forse senza volerlo del tutto, è stato il fautore di una scuola livellata verso il basso in nome dell’eguaglianza. Milani - che pure rivendicava l’uso della frusta e dei ceffoni sui ragazzi - è il teorico della scuola senza bocciature né gerarchie. Come una bella fetta dei pensatori sessantottini venuti dopo di lui, don Lorenzo mirava alla distruzione della verticalità, dell’autorità. In particolare paterna: la figura del padre, nei suoi testi, è marginale se non completamente assente. È molto presente, invece, un antifascismo paranoico molto simile a quello attualmente in voga. Se oggi la scuola italiana versa in pessime condizioni è anche a causa di idee come queste.

Se oggi la Chiesa sembra trasformarsi in una gigantesca Ong, la responsabilità è in parte anche del donmilanismo. Ma sembra impossibile persino parlarne. 

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Francesco Borgonovo

(Reggio Emilia, 1983). È caporedattore della Verità. Ha ricoperto lo stesso ruolo a Libero. Ha pubblicato, tra gli altri, i saggi Tagliagole (Bompiani) e L'Impero dell'Islam (Bietti). Con Giacomo Amadori ha collaborato alla stesura del libro I segreti di Renzi (Sperling & Kupfer) di Maurizio Belpietro. Ha lavorato come autore televisivo per programmi in onda sulla Rai e su La7, tra cui La gabbia. Conduce su Telelombardia il talk show politico Iceberg.

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