Michael Bloomberg, meglio idraulico che fuori corso
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Michael Bloomberg, meglio idraulico che fuori corso

Il sindaco di New York lancia la sua provocazione. Ma in Italia i mestieri manuali restano ancora un tabù

di Marco Filoni

Se lo scopo era creare polemiche e far parlare di sé, c’è indubbiamente riuscito. Michael Bloomberg, multimilionario sindaco di New York, durante una trasmissione radiofonica è andato dritto al punto: ragazzi, giovani americani, se non andate troppo bene all’università, lasciate perdere e andate a fare gli idraulici. "Per lo studente medio diventare un idraulico potrebbe essere una soluzione migliore che frequentare Harvard" perché, ha argomentato Bloomberg, uno studente contrae debiti fra i 40 e i 50 mila dollari, mentre un idraulico newyorkese comincia la sua carriera con un salario più alto di un neolaureato e, soprattutto, il suo lavoro non sarà mai rimpiazzato da un qualche computer. Questo il consiglio ai giovani, magari non richiesto. Eppure, ha colto nel vivo.

Figuriamoci se fosse successo in Italia: si sarebbe levato un coro unanime di voci scandalizzate, di provetti indignati pronti a innalzare le barricate per la difesa del diritto allo studio, che però consente 600 mila studenti universitari fuori corso, il 33,6 per cento del totale. O meglio, il diritto a studiare senza pagare troppe tasse, a non dover fare quei lavoretti che "sono roba da immigrati" per pagarsi gli studi, a trovare subito un lavoro, magari vicino casa. E poi il diritto a studiare con calma, senza fretta, altrimenti sarebbe un’esclusione antidemocratica, ovvio; che poi il titolo di studio deve avere valore legale, tanto quanto quello di chi magari ha studiato all’estero per anni. E se poi i nostri giovani volessero specializzarsi, sia mai che emigrino, per carità, devono rimanere là dove i cervelli non fuggono (semmai fanno la muffa). Insomma, Bloomberg ha toccato un nervo scoperto che qui, ancor più che in America, è tabù. Ovvero il tema del far carriera (che in Italia più che un diritto acquisito dal talento è un diritto di nascita). Quindi del famoso ascensore sociale, retto da un’esile fune che non sopporta il peso e dunque non si muove. E ovviamente il tema del lavoro manuale, oggi tanto disprezzato e vituperato quanto mai.

Se per caso si affronta questo tabù, si viene triturati. Successe a Tommaso Padoa-Schioppa con i "bamboccioni", più di recente all’allora viceministro Michel Martone che definì "sfigati" i ventottenni ancora fuori corso. "Ci siamo dimenticati che il lavoro è nobile, non soltanto quello intellettuale ma anche quello manuale" dice Martone oggi. "Del resto è l’articolo 35 della Costituzione a ricordarcelo. Che si faccia l’idraulico o l’ingegnere nucleare, i nostri giovani devono metterci tutto il loro impegno. Non conta che cosa fanno, conta come lo fanno. E se non lo fanno al meglio, saremo travolti dalla concorrenza internazionale di paesi come la Cina, l’India o il Brasile".

Rompere il tabù equivale perciò a offendere la morale comune, il sentire candido delle anime belle. Peccato però che questo stesso coro leva le sue voci per intonare (quando non urlare a squarciagola) la solita cantilena del merito. Certo, bella cosa la meritocrazia, panacea d’ogni italico male, dalle università ai governanti, peccato che sia solo retorica. Perché, se davvero la si volesse applicare, allora bisognerebbe essere disposti ad accettare anche le parole di Bloomberg. "In Italia siamo abituati a pensare che chiunque consegua un titolo di studio debba poi ricoprire il migliore degli incarichi possibili" sottolinea Elio Matassi, professore ordinario di filosofia morale all’Università di Roma 3 con diversi incarichi di amministrazione universitaria. "Ora, fatto salvo che la meritocrazia è un criterio valido, bisogna poi fare in modo che da dichiarazione di principio questa si trasformi in realtà. Invece così non è: giovani bravi che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro quasi mai vedono riconosciute le loro competenze. A meno che non si passi per il nepotismo, per quell’atteggiamento italiano che vuole il figlio dell’ingegnere sempre e comunque un ottimo ingegnere. Come se esistesse un doppio binario: chi nasce classe dirigente e chi invece, fra mille difficoltà, deve diventarlo".

Il Paese vive una frustrazione piccoloborghese nel considerare tabù il lavoro manuale: i belli e ricchi e intelligenti vadano all’università, i poveracci e gli stranieri alle scuole professionali. Così il lavoro manuale è disprezzato come se non fosse cultura. Ma ha ragione Richard Sennett, consigliere di Barack Obama, che nel libro L’uomo artigiano (Feltrinelli, 320 pagine, 25 euro) propone la rivalutazione dell’homo faber, di colui che sa fare le cose, e che le sa fare perché possiede quell’abilità artigianale che lo spinge al miglioramento continuo. Insomma, per capire che cosa sia davvero il merito, si legga quell’aureo libretto che è il pamphlet di Nicola da Neckir, pseudonimo di Arnaldo Cecchini, dal titolo Contro la meritocrazia (La Meridiana, 82 pagine, 12 euro). In Italia abbiamo sempre due registri. Di ogni fenomeno abbiamo sempre due definizioni. Esempio: "Straniero: 1. sinonimo di qualità scientifica, specchiata onestà, chiara fama; 2. sinonimo di clandestino, ladro, nera fame. La scelta tra 1 e 2 dipende da quale ministero se ne occupa".

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