Raffaele Curi, se la Chiesa diventa "Inaccessibile"
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Raffaele Curi, se la Chiesa diventa "Inaccessibile"

La nuova pièce teatrale del regista s'interroga sul momento difficile di fede e papato

Lui l’aveva previsto: la fine del papato di Benedetto XVI, il momento difficile della Chiesa. E l’ha immaginato con un palco vuoto, presidiato da una guardia svizzera, un nano incoronato e vestito come un re magio del presepe avanza fino a precipitare sul pubblico, mentre in sottofondo Asaf Avidan, la star israeliana, canta di visioni e cospirazioni dal regno di Gomorra. "È la prepotenza della Chiesa che schiaccia la vera fede, quella semplice, del presepe" tuona Raffaele Curi, regista teatrale e guida artistica della Fondazione Alda Fendi, mentre nella casa romana di via Giulia racconta il suo ultimo spettacolo di Quaresima, dal titolo Inaccessibile. In scena a Roma dal 21 al 27 marzo (ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti) all’Antico mercato del pesce degli ebrei, con una straordinaria scenografia dell’archistar Jean Nouvel, al suo debutto nel teatro.

"Nessuno mi crederà mai, ma quando ho iniziato a scrivere lo scorso autunno, sentivo, da credente, quanto fosse difficile il momento che stava attraversando la Chiesa. E allora ho pensato di descriverlo, mettendolo fra i grandi misteri inaccessibili: nascita, morte, fede e infine il mistero dei misteri ossia il Vaticano".

Il deus ex machina della fondazione, amico da oltre un decennio di Alda Fendi, è celebre per i suoi spettacoli criptici, coraggiosi, a volte delle vere messe cantate: "II vescovo Laszlo Nemet, che mi segue da tempo, dice che ci vuole un anno per capirmi". Ma a dispetto del titolo questa volta Curi è chiaro: siamo esseri miseri, violiamo con indifferenza l’infanzia, ci occupiamo spasmodicamente solo delle nostre rughe e abbiamo dimenticato come si piegano le lenzuola. Quel gesto semplice di un tempo, quando gli angoli si univano e la stoffa si tirava, che lui riporta poeticamente in scena. E per chi non avesse capito sul palco sale la brava Francesca Benedetti a recitare Medea, la donna che divora i suoi figli (e ancora non sarà la Chiesa, in veste di genitrice vorace?).

Non c’è tempo di riprendersi che il ragno gigante, celebre scultura di Louise Bourgeois, sovrasta gli spettatori per ricordare, se lo avessero scordato, che siamo fragili. Ma a redimere il pubblico impaurito pensa il regista che, bontà sua, invierà "una mandorla di luce, la fede, la grandezza del divino", ad avvolgerlo. E così il Savonarola del teatro italiano conclude: "L’artista è vicino a Dio". Lo spettatore non si sa. Nel dubbio, da Curi andate già confessati.

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Terry Marocco