Picasso, l'ultimo genio
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Picasso, l'ultimo genio

Il Palazzo Reale di Milano ospita dal 20 settembre 250 opere del pittore spagnolo

E così piovono su Milano 250 opere di Pablo Picasso(Palazzo Reale, dal 20 settembre al 6 gennaio), tutte migrate dal Museo Picasso di Parigi. Molto in senso tecnico, ci sono un sacco di capolavori, ma non molto nello specifico. D’altra parte al superproduttore Pablo si assegna un catalogo di 50 mila opere. E in questo immenso contenitore c’è il genio più celebrato e più dileggiato di tutto il ’900, il suo precursore e il suo cannibale. Ci sono un dolore in blu e stati di grazia in rosa, l’avanguardia scatenata e la classicità stilizzata, una bruttezza che sembra bellissima e la bellezza quando è brutale, un ragazzo che disegna come Raffaello e un vegliardo erotomane e scostumato che nella sua fase terminale anticipa la Transavanguardia in blocco.

Picasso è stato l’ultimo dei grandi maestri. Quando nel 1973 muore, a 91 anni, ci lascia nel deserto. Non che il cielo dell’arte poi sia stato vuoto, per carità: è pieno di stelle, brillanti, vanitose. Ma Picasso era una specie di sole con i pianeti che gli giravano intorno. Per decenni ha stabilito modelli, impartito lezioni e rifornito l’immaginario occidentale di figure e invenzioni incommensurabili. Poi c’è la questione del corpo della pittura. Non dell’idea che ne abbiamo o dei quadri che contempliamo, no, proprio della pittura nel suo apparire dal nulla come un evento fantastico. Picasso è stato l’occhio e la mano dell’arte, il piacere e la potenza di quest’atto fisico, primordiale, sempre in azione tra genesi e crollo degli stili.

Riguardatevi Le mystère Picasso, film di Henri-Georges Clouzot del 1956: Picasso muove il braccio, disegna una specie di collina che diventa un toro morente, è bravo, perfetto come il migliore dei toreri. Anzi, non fosse per la musica che l’accompagna, sembra un dio che inventa il mondo.

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Marco Di Capua