Philippe Starck: "Sarà il design a salvare la terra"
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Philippe Starck: "Sarà il design a salvare la terra"

Prima la progettazione era "democratica", ora è ecocompatibile: Philippe Starck ritiene che il suo lavoro possa aiutare a cambiare il pianeta. E anche il modo di pensare e di produrre oggetti di culto. A Panorama dice: "Non chiedere a persone infelici di prendersi cura del degrado ambientale. Rendi felici le persone e loro saranno in grado di rispettare e amare il mondo"

Inseguito dagli studenti di architettura, attorniato dall’inseparabile moglie e dai ragazzi del suo entourage, Philippe Starck pare un divo del cinema. Conosce tutti a Milano, città che frequenta da vent’anni, e tutti lo riconoscono. Risponde alle domande, è generoso nel dedicare il suo tempo e le sue parole, un mix di inglese, francese con qualche intercalare in italiano.

«Ho molte cose da dire e mi piace raccontare, ma mi risparmi l’afflizione delle domande sulla mia vita privata, tanto non rispondo» mette le mani avanti uno dei designer più apprezzati e forse più pagati al mondo che poi continua: «E mi risparmi anche quelle sui miei gusti personali, tanto dico bugie».

Così, l’atmosfera si fa seria e la conversazione si concentra sulla necessità che i progetti servano a migliorare l’ambiente, il gusto, l’uomo.

Lei è stato tra i primi a parlare di design democratico: crede che negli ultimi anni il design sia veramente diventato più accessibile a tutti? Non solo a livello di fruizione, ma anche economico?
Quando, per caso, ho iniziato a fare il designer, una sedia di design e di buona qualità costava intorno ai 1.000 euro. Era ridicolo. La mia visione del design democratico ha fatto sì che negli ultimi 20 anni si togliessero uno o a volte anche due zeri a questo costo. È più ragionevole. Il design democratico ha innalzato la qualità del prodotto e abbattuto i costi, rendendolo accessibile a un grandissimo numero di persone. La guerra non è finita, ma molte battaglie sono già state definitivamente vinte. Ecco perché adesso è venuto il momento di intraprendere nuove avventure, come l’idea di un’ecologia democratica o, ancora, provare a trovare delle soluzioni per l’era della «postplastica».

Il «green design» è molto in voga, come la moda eco. Ma, al di là delle passioni momentanee, lei crede che l’ecosostenibilità sia un’urgenza concreta?
La sostenibilità non è un trend temporaneo, è tuttora una priorità e lo sarà almeno per i prossimi 20 anni o sino a quando non avremo più bisogno di pensarci poiché sarà un concetto naturalmente integrato. Se marketing e pubblicità utilizzano in ogni modo possibile alcuni termini ecologici per sbandierare una sensibilità green, alla fine non è così male perché, anche se vi è un 30 per cento di falsità, ne rimane un 70 di serietà e impegno. È un impegno divertente, ma molto stancante, se approfittiamo della tendenza ogni cosa diventa più facile. Per esempio l’azienda italiana Emeco ha costruito la sua fama sulla leggerezza dell’alluminio che rappresentava realmente un’eleganza tecnologica. Adesso lavora sulla dematerializzazione usando polveri del legno, rifiuti della plastica e anche spazzatura e questo è persino ancora più elegante.

È nato così il progetto della sedia Broom presentato allo scorso Salone?
Ho lavorato tutta la vita alla dematerializzazione, questa è la ragione per cui Broom chair nasce dalla materia, quasi nulla, tentando di realizzare un design quasi nullo. Il meno possibile, per essere sicuri che questo non-materiale senza tempo abbia un non-stile senza tempo.

Secondo lei ci sono ambiti del design che non sono ancora sensibilizzati all’ecosostenibilità?
Molti. Per quanto triste, per noi c’è un nuovo Eldorado di creatività. Stiamo attraversando un cambiamento epocale, alcuni materiali e fonti energetiche si stanno esaurendo mentre altre ne stanno sorgendo. Per me il territorio più nuovo e interessante da esplorare è la dignità del nostro nuovo depauperamento.

Il design può avere una valenza politica nella sua capacità di trasformare le abitudini quotidiane?
No. Il design non può cambiare nulla, ma può aiutare a farlo. Un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di creare, un nuovo modo di produrre ci daranno almeno la chance di non vergognarci.

Se le chiedessero di progettare qualcosa di veramente utile per l’umanità, ma dannoso per l’ambiente, lo farebbe?
Questa equazione non esiste. Il genere umano e l’ecologia hanno la stessa radice. L’errore di questi ultimi anni è stato di pensare all’ecologia prima che all’umanità. Non chiedere a persone infelici di prendersi cura del degrado ambientale. Rendi felici le persone e loro saranno in grado di rispettare e amare il mondo.

Secondo lei ci si può accontentare di un’estetica modesta a favore di un altissimo contenuto a impatto zero?
Certo, ancora di più a patto che ci siano una visione chiara e un lavoro finalizzato a un target definito. Hanno detto «more is less», oggi possiamo affermare «more and less». Non dobbiamo scegliere, sappiamo come risolvere l’equazione. Domani avremo di meno e sarà abbastanza per essere considerato bello e appassionante.

Senta, ma lei, la sua bella moglie...?
(Ride di gusto, ndr) Su questi argomenti troverà moltissimo materiale su Google, su internet, ma sono cose inventate...

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Antonella Matarrese