Non cercate la Gioconda sotto terra
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Non cercate la Gioconda sotto terra

A Firenze si scava (con soldi pubblici) per riesumare le ossa della monna Lisa e verificare che sia la modella del dipinto. Spesa folle e inutile.

La Gioconda non ha pace. Dopo aver subito tutte le trasformazioni possibili in arte e letteratura dal ’500 a oggi, torna alla ribalta per la ricerca delle sue ossa. L’autore dell’impresa è Silvano Vinceti, già noto alle cronache per aver cercato i resti di altri grandi del passato, compreso Caravaggio. Presidente di un comitato per la "valorizzazione dei beni storici, culturali, ambientali" di sua creazione, Vinceti ha ottenuto 140 mila euro dalla Provincia di Firenze per scavare nel convento di Sant’Orsola.

Lì secondo un documento, ritrovato qualche anno fa, sarebbe stata sepolta monna Lisa Gherardini del Giocondo, modella del dipinto di Leonardo da Vinci. L’intento: trovarne i resti, confrontarli con quelli di un figlio o di altri eventuali parenti sepolti nella cappella di famiglia (nella chiesa della Santissima Annunziata di Firenze) e, una volta individuata la modella, ricrearne il volto con le moderne tecnologie e stabilire se sia proprio quello dipinto da Leonardo.

I primi risultati sono otto scheletri da cui trarre il Dna e il carbonio 14. Oltre a un paio di libri in cui Vinceti racconta la sua interpretazione del dipinto e l’impresa di scavo (Il segreto della Gioconda, e Alla ricerca della Gioconda entrambi usciti per Armando Editore).

Ma era davvero necessario? La Gioconda non è tanto misteriosa, grazie a precise testimonianze recenti e antiche. Si tratta proprio di Lisa Gherardini moglie di Francesco del Giocondo, nata a Firenze il 15 giugno 1479 e morta il 15 luglio 1542.

Lo dice Giorgio Vasari in una celebre pagina della Vite in cui racconta che il pittore "penò" oltre quattro anni e che allora il ritratto si trovava presso il re di Francia a Fontainebleau. Ma, ancora prima, nell’ottobre del 1503 il cancelliere fiorentino Agostino Vespucci cita "la testa di Lisa del Giocondo", insieme alla Sant’Anna in alcuni versi latini, in cui paragona l’autore, Leonardo, che sta per intraprendere la Battaglia di Anghiari, all’antico Apelle. Non solo, la celebre tavola, che l’artista si era portata in Francia nel maggio 1517 senza darla al committente (non si sa perché), rimasta nel suo atelier dopo la morte il 2 maggio 1519, passa all’allievo Gian Giacomo Caprotti detto Salaì, nel cui inventario dei beni è citata come "ritratto di donna arretrata... dicto la Honda" subito corretto in "dicto la Joconda" (curiosa la h aspirata toscana). Da allora le testimonianze sono molte, comprese quelle del libro di Giuseppe Pallanti, La vera identità della Gioconda (Polistampa 2004 e Skira 2006), che svela vita e segreti della celebre modella, senza lasciare dubbi.

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Maurizia Tazartes