Londra: i cavalier, l'arme, gli amori dei Moghul
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Londra: i cavalier, l'arme, gli amori dei Moghul

La capitale inglese celebra in una mostra la dinastia indiana che conquistò l'Asia. Tra ragion di stato e quotidianità

L’India ormai è diventata una potenza mondiale e per questo Londra ha deciso che dal 2015 non elargirà più aiuti economici alla sua ex colonia asiatica. Business a parte, il legame culturale fra i due paesi rimane più solido che mai e si rafforza anche grazie a una nuova grande mostra alla British Library di Londra che fino al 2 aprile celebra gli splendori e le meraviglie dell’India durante la dinastia Moghul, fondata nel 1526 dal principe asiatico Babur, discendente del conquistatore turco Timur, e che concluse la fase di massimo splendore con il suo pronipote Aurangzeb nel 1707. Una storia, quella di Mughal India: art, culture and empire, raccontata attraverso oltre 200 opere, dove la parte del leone spetta alla miniatura, arte regina e prediletta dal sovrano Akbar, che benché analfabeta la promosse e la incoraggiò in tutto il regno, arrivando a commissionare un grande manoscritto in tre volumi, l’Akbar-nama, che ripercorre le gesta della casa dei Timuridi.

Conosciuti per le loro grandi costruzioni, di cui due testimonianze su tutte sono il mausoleo di marmo bianco del Taj Mahal e il Red Fort di Delhi, i Moghul hanno costruito in quasi 350 anni un impero favoloso e opulento. La maggior parte della mostra londinese si concentra sull’epoca d’oro della casata, quella che ricomprende Babur e i suoi cinque discendenti, senza però trascurare la storia più negletta della dinastia, che si è dissolta nel 1858 con la conquista dell’India da parte degli inglesi e la successiva dispersione dei suoi tesori in Occidente.

La parte centrale dell’esposizione introduce la figura degli imperatori Moghul più importanti: Akbar (di cui è in corso una mostra a Palazzo Sciarra a Roma), che amava arte e filosofia e commissionò un codice miniato, l’Hamzanama, che contiene 1.400 dipinti e richiese 15 anni per essere completato, mentre suo figlio Salim, che salì al trono con il nome di Jahangir, scrisse per molti anni le sue memorie. Ma il vero archetipo di Gran moghul fu Shah Jahan, colui che costruì il Taj Mahal in onore della moglie Mumtaz Mahal, morta di parto, e suo figlio Aurangzeb, che per motivi religiosi bandì la musica e la danza dal regno nel 1668.

Magnificenza e quotidianità sono le caratteristiche portanti della mostra londinese. Della prima fa parte una corona d’oro tempestata di gemme appartenuta a Bahadur Shah II, l’ultimo imperatore Moghul: regnò dal 1837 al 1858 e fu deposto e poi esiliato in Birmania quando gli inglesi presero il controllo dell’India. La corona con rubini, smeraldi, diamanti, perle e turchesi fu poi acquistata dalla regina Vittoria nel 1861 per 500 sterline dell’epoca e ora è tra i gioielli della corona britannica. Della seconda, invece, fa parte il Notebook of fragrance, datato 1698: esposto per la prima volta al pubblico, è un manoscritto dalle caratteristiche uniche, dato che tratta della gestione della casa, diremmo oggi. Nei suoi 17 capitoli, infatti, lo sconosciuto autore discute di ricette per creare profumi, saponi, cibi e bevande, ma anche delle modalità per una perfetta pulizia della casa e del giardino, per organizzare una libreria e persino per fabbricare fuochi d’artificio.

La mostra racconta attraverso oggetti, dipinti e scritti il lato meno conosciuto e ufficiale dei Moghul. Che, si scopre, non solo erano spietati signori della guerra (in mostra c’è un’incredibile armatura per cavaliere e cavallo della metà del Diciassettesimo secolo), ma anche teneri amanti degli animali. Infatti nel poema-manuale del 1788 Kabutarnama di Valih Musavi, anche questa una vera e propria primizia londinese, si cantano le gesta del perfetto allevatore di piccioni, incarnato soprattutto dagli ultimi imperatori indiani del casato Moghul che avevano eretto delle grandi colombaie all’interno di palazzi e fortini.

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Mikol Belluzzi