L'Italia che non cresce, la scomparsa dell'élite
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L'Italia che non cresce, la scomparsa dell'élite

È necessaria una nuova classe dirigente che sappia immaginare una via di sviluppo, un progetto. Panorama ha provato a immaginarlo, coinvolgendo quattro intellettuali, di diversa formazione, ruolo ed età. Quattro affreschi su cui riflettere

L'Italia non cresce da almeno 15 anni. "Una Repubblica fondata sulle rendite" l’ha chiamata l’economista Geminello Alvi in un libro di qualche anno fa. Rendite immobiliari e patrimoniali (ricchezza congelata, dunque) e di posizione da trasmettere ai propri discendenti per via ereditaria, rinnovando una tradizione sempre verde nel Paese del "familismo amorale". Vorrà dire qualcosa, del resto, se il 44 per cento degli architetti in Italia oggi è già figlio di architetti e se il 42 per cento dei laureati in giurisprudenza è figlio di laureati in giurisprudenza.

Non sono percentuali troppo diverse quelle che registrano la trasmissione ereditaria del mestiere per medici, farmacisti, ingegneri e così via. Ed è significativo che solo il 6 per cento dei ventenni di oggi abbia aspettative di vita sociale migliori di quella dei loro genitori, i quali invece hanno goduto di una mobilità sociale tale da far registrare, nella loro maggioranza, un avanzamento sociale ed economico rispetto alle famiglie d’origine. Dati spaventosi, che segnano un regresso nazionale e fanno dubitare della sostanziale democraticità del sistema. Lasciando indovinare un’oligarchia di fatto, un regime castale trincerato nelle sue posizioni di rendita, appunto.

Un Paese, l’Italia, dove le maggiori risorse vanno a coprire le pensioni, dove è scarsissima la flessibilità in entrata nel mercato del lavoro, dove produttività e formazione sono tra le più basse d’Europa, dove alle nuove generazioni s’impedisce di far valere i propri talenti, generando un miscela esplosiva di rabbia, frustrazione e nichilismo, combustibile preferito di demagoghi e populisti. Quando perfino la Costituzione italiana dovrebbe garantire ai capaci e ai meritevoli di accedere ai gradi più alti, dell’istruzione e della società.

Perché questo non accade più da molti anni? "Una democrazia vive se apre prospettive, non se le nega" ha dichiarato Giuliano Amato al Corriere della sera. Aprirle però non significa avvitarsi in un egualitarismo verso il basso, significa invece tornare a crescere, a evolvere. E per farlo è necessaria una nuova classe dirigente, un’élite politica (ma prima ancora spirituale) che sappia immaginare una via di sviluppo, un progetto. Panorama ha provato a immaginarlo, coinvolgendo quattro intellettuali, di diversa formazione, ruolo ed età. Quattro affreschi su cui riflettere.

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Riccardo Paradisi