Giuseppe Penone, l’uomo che sussurrava agli alberi
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Giuseppe Penone, l’uomo che sussurrava agli alberi

Incontro con l’artista pronto a invadere la reggia di Versailles con ciclopici cedri secolari. E un’idea controcorrente di natura fra Ovidio, gli ogm e la clonazione

Parigi gli hanno detto basta: École des beaux-arts, cattedra di scultura, rapporto concluso per sopraggiunti limiti d’età. "Ho lasciato a malincuore, ma lì sono inflessibili, a 65 anni smetti per forza". Eppure i panni del pensionato gli si addicono poco: l’artista Giuseppe Penone non conosce posa dal 1968, quando realizza un gruppo di opere dal titolo Alpi Marittime, finisce nel libro Arte povera di Germano Celant e vola dritto fra i protagonisti del gruppo omonimo, l’unico vero movimento italiano d’esportazione del secondo Novecento. Seguono quotazioni a cinque zeri e centinaia di mostre in tutto il mondo. Fino alle più recenti e prestigiose: Documenta di Kassel, la più importante del pianeta (vi espone nell’anticipazione dell’edizione 2012); una sala intera, la scorsa estate, nella mostra della collezione François Pinault nel veneziano Palazzo Grassi; Whitechapel gallery di Londra (un’opera in mostra fino al prossimo agosto); il Kunstmuseum di Winterthur, in Svizzera.

Non poteva allora mancare Larry Gagosian, il gallerista che punta solo sul sicuro. Fiutato l’affare gli organizza una mostra a Londra (conclusasi da pochi giorni) e lo corteggia per averlo in scuderia al fianco di artistar come Damien Hirst e Rudolf Stingel. "Sto ancora valutando" nicchia però l’artista quando Panorama lo incontra nel suo studio torinese. Intanto, sbarrategli le porte dell’École des beaux-arts, i francesi gli aprono però il portone di Versailles, dove la neopresidente dello château Chatherine Pégard l’ha invitato a esporre nel 2013: primo artista italiano a varcare quella soglia dopo Jeff Koons e Takashi Murakami.

"Due maestri del kitsch" li ha definiti Pégard (con quel tanto di pepe polemico a rimarcare il diverso orientamento rispetto al suo predecessore). Lei è d’accordo? "Starei attento alle definizioni" avverte lo scultore. "Accade spesso che artisti in buona fede facciano opere insulse mentre altri, cinici e scaltri, ne realizzino di bellissime". Non è diplomazia. Lo sguardo di Penone rovescia la realtà a ogni passo. Come quando davanti a un caffè si abbandona a una rilettura "eretica" della storia dell’arte. Con Yves Klein e Marcel Duchamp visti non soltanto come l’artista spirituale e quello concettuale della vulgata corrente, bensì scultori, artisti della materia, svelatori di forme quasi alla stregua di Michelangelo.

Ribaltamenti continui di un punto di vista altrimenti univoco, quelli di Penone. Come fa l’uomo con le pupille rovesciate dell’autoritratto giovanile. O come mostrano i suoi enormi imponenti alberi: "Scavati per ritrovarne la forma all’interno".

Eccoli: larici e cedri centenari, vittime di tempeste o malattie, abbattuti dalle guardie forestali in Canada o nella Foresta Nera e arrivati in questo capannone industriale nel quartiere di porta Palazzo dove l’artista li studia, scava, scolpisce, e fonde in bronzo per spedirli infine a Versailles. "Ne arriveranno là una ventina, saranno dentro e fuori dalla reggia" spiega. Quasi antropomorfi, sembrano giganti appena usciti da un mito antico. "Per me non c’è differenza fra uomini e alberi" commenta l’artista. "Il mio lavoro consiste nell’asserire il principio d’identità fra essere umano e natura".

Così ogni materiale è indagato fino a svelarne i fondamenti magici e fantastici. Ferro, cera, pece, gesso o legno che sia. E lì, nella materia lavorata da cui riemerge la natura, pare sempre di sentire l’eco di Ovidio, la magia delle Metamorfosi, la scorza dura di una formazione classica. "Ho solo un diploma di ragioniere» spiazza invece Penone. «Ma Ovidio l’ho sempre alle costole. Del resto Apollo e Dafne è la sintesi del mio lavoro: uomo e natura che si svelano su di un piano di equivalenza".

Nel frattempo però sono cambiate un po’ di cose, maestro: stiamo distruggendo il pianeta, uomo e natura non sembrano nella posizione di parità che lei afferma, non crede? "No, è la nostra interpretazione a farci vedere erroneamente una lotta fra i due. Del resto, se l’uomo distrugge il pianeta, annienta se stesso". Certo, ma ogm, clonazione, fecondazione assistita: l’uomo si sovrappone alla natura... "No, si integra, semmai. Generazione e selezione sono ciò che la natura ha sempre fatto" rilancia l’artista. "L’uomo adesso è solo un suo nuovo veicolo". Punto di vista originale, non c’è che dire, come al solito; come tutto il linguaggio dell’Arte povera, magari non comprensibile di primo acchito ma ricco di contenuti. Nemmeno qui è d’accordo? "No, l’Arte povera può sembrare ostica se si ha un’idea preconcetta, se si considera cioè che l’arte debba essere solo pittura o scultura figurativa. Ma è un problema di pregiudizi, non di linguaggio. Basta ribaltare lo sguardo e le cose appariranno subito in un altro modo".

Certo: saper cambiare il punto di vista. Del resto non è forse questa una vera arte?

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Antonio Carnevale