Anna Visciani, 'Se Arianna' - La recensione
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Anna Visciani, 'Se Arianna' - La recensione

La storia vera di una famiglia "diversamente normale" e una meditazione aperta sul senso della vita

C'è una libellula in copertina, insetto dal portamento regale, le maestose ali bloccate con lo scotch su una superficie crespa simile a uno stagno solo per il colore. Il colpo d'occhio regala al cervello una distratta dissonanza fra la bellezza estetica dell'essere vivente e l'onta che sperimenta di fronte alla libertà tarpata, al fiore reciso, alla sofferenza inutile e scandalosa. La simbologia visiva introduce efficacemente la storia di questo libro, offrendo subito una chiave per decodificare il "se" del titolo.

Biografia, memoir, romanzo-verità, crudo reportage sulla malattia e la disabilità fuori dalle ipocrisie grammaticali dei "diversamente abili". Se Arianna è tutto questo e qualcosa di più e di diverso. Confesso di averlo aperto con un certo imbarazzo, temendo di violare il pudore delle vite altrui ma anche di scontrarmi con il dolente autobiografismo da bestseller che ha conquistato il mercato editorial-televisivo, imponendosi come genere di successo. O forse semplicemente temendo di perdermi ancora una volta di fronte alla forza malefica della natura e al labirinto di sofferenza e ingiustizia che contraddistingue la condizione umana.

L'esordiente Anna Visciani propone invece una meditazione straordinariamente aperta e asciutta, alimentata dalla biografia della figlia ventitreenne Arianna, cerebrolesa grave. Nel diario di bordo stilato da Anna e Davide, Alice e Daniele, i quattro membri della famiglia in grado di comunicare, l'epica del quotidiano si colora di una gamma sfaccettata e ricca per la coralità della visione e dei sentimenti senza filtro che vi sono coraggiosamente riportati. Senso di colpa e di iperresponsabilità, solitudine, paura, rabbia, impotenza, odio, vergogna, angoscia, stress, orrore, sfinimento. Amore senza limiti, e insieme il disperato bisogno di sentirsi una famiglia normale.

Stato di lutto permanente, morte della speranza: l'handicap grave, si legge fra queste pagine, costituisce un capitolo a sé nella storia dell'umanità. Nel suo alveo albergano le "fogne dell'animo umano" così come cuori sterminati e anime salve. Nulla però potrà mai risarcire una madre dal destino innaturale di dedicare tutta se stessa a una cura senza reciprocità. "Io non so se ho voglia che sopravviva", dice a un certo punto Anna in una delle "Conversazioni" che interrompono il diario familiare riportando al centro l'immediatezza del sentire, l'inconsolabile consapevolezza che nulla potrà arrestare il decorso della malattia.

Mi ha colpito la capacità di questi genitori di non farsi divorare dall’azione e aver trovato lo spazio per tenere allenati i pensieri. Dalle lunghe notti bianche non proviene certo un senso che giustifichi il male e la disperazione piombate sulla tavola quotidiana di una coppia nell’istante più felice della vita. Ma in quella medesima tenebra, o più probabilmente ai primi bagliori dell’alba, trova un varco la lucida forza interiore che permette ad Anna - attraverso la scrittura - di lasciar fuoriuscire il dolore senza rimuovere il lutto, senza che la rabbia e il vittimismo egocentrico tengano in ostaggio la sua anima oltraggiata.

Il punto di volta è il rimbalzo dell'interrogativo solipsistico ("Perché è capitato proprio a me") nella vera domanda chiave ("Perché è capitato a lei?"). Io potevo farcela, conclude Anna, con gli strumenti che la natura mi ha dato. Ma Arianna? Che vita è quella a lei negata nel suo senso più profondo? Le riflessioni del filosofo Luigi Pareyson sulla "sofferenza inutile" indagata da Dostoevskij ne I fratelli Karamazov aiutano Anna a concepire questa storia come un cammino, come via privilegiata per la conoscenza. Oltre che come una commossa testimonianza della fragilità del mestiere di genitori e più in generale della fragilità umana.

Garantire (restituire) dignità a una persona in quanto fine in se stessa. La storia di Arianna porta a immaginare che, kantianamente, possa essere questa l'unità minima di senso, la ragione di stringere invisibili alleanze con il coro di solitudini disposte all’accoglienza. Per non rimanere succubi del fato o, almeno, per salvarci dall’indifferenza e dal terrore senza nome.

Anna Visciani
Se Arianna
Giunti
192 pp., 12 euro

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Michele Lauro