Il commissario Montalbano Luca Zingaretti
Ufficio Stampa/ Fabrizio Di Giulio
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Aiuto, Montalbano è diventato gay!

Nulla di tutto questo: è Luca Zingaretti a dare volto a un personaggio straordinario nella pièce "The pride". Un gioiello. Intervista all'attore

Altro che "non mi rompete i cabasisi" di Salvo Montalbano o i piani sequenza per ritrarre il corpo nudo di Luca Zingaretti a letto con Livia, senza far vedere ciò che la prima serata Rai non consente. Fino al 4 dicembre l’attore è Milano sul palco del Piccolo teatro, con uno spettacolo duro e  divertente, feroce e liberatorio. Un testo scritto da un autore greco, Alexi Kaye Campbell, già proposto sui palcoscenici di Londra, New York, Australia, Corea. E premiato con il Laurence Olivier award.

Uno spettacolo che Zingaretti ha portato in scena lo scorso anno e che ora sta girando l’Italia, ospitato nel teatro simbolo di Milano, che fu di Giorgio Strehler e Luca Ronconi.

Si intitola The pride e parla di idendità, di chi si è veramente dietro la maschera pirandelliana, con l’inevitabile corollario che, tolta la maschera, a nudo rimangono non solo i corpi, ma gli istinti primari, le pulsioni omosessuali, i desideri indicibili (e ora dicibili) con una raffica di "cazzo" nei dialoghi, con una scena di amplesso omo e con la confessione di perversioni.

La pièce ruota intorno a tre personaggi, due uomini e una donna, in un’alternanza di storie che si svolgono in periodi diversi, la prima nel 1958, la seconda nel 2008 (diventato 2015 per dare il senso dell’attualità). Zingaretti, che interpreta uno dei tre personaggi e firma la regia, giura che "si ride e ci si commuove. E si parla d’amore".

Non sarà però una doccia fredda  passare dai «cabasisi» che fanno  simpatia, a un testo così forte?
Penso che un artista non debba dare al pubblico quello che si aspetta da lui. Spero di aver maturato, fra cinema, tv e teatro,
una credibilità: che si sappia che le mie scelte e il mio impegno sono dettati dalla qualità.

È come il Parmigiano reggiano: un marchio di garanzia?
Ho la presunzione di credere che la gente si fidi delle mie scelte. Finora The pride ha avuto il tutto esaurito.

Come è incappato in questo testo?
Ho creato un piccola struttura per gli spettacoli teatrali. Monica Capuani, la traduttrice di The pride, mi ha chiamato e ha detto: "Luca, ti mando questo testo bellissimo. Nessuno lo vuole fare perché è difficile. E il tema è delicato".

Un invito a nozze. Per il suo Montalbano sarebbe il massimo: riuscire dove gli altri svicolano.
E come potevo resistere? Una sfida! Per giunta, stavo cercando qualcosa di attuale, volevo evitare i classici.
L’ho letto e sono rimasto fulminato. Amici e colleghi ai quali l’avevo passato, mi hanno detto: "È meraviglioso. Ma sei matto? Chi te lo fa fare?".

E invece lei, cocciuto, niente!
Questo testo affronta la grande domanda di chi siamo. Parla di identità, del sé vero e del coraggio di mostrarlo.

Il suo personaggio, da etero diventa gay.
Combatte per fare uscire se stesso. Ma è un testo d’amore, malgrado le apparenze osée. Ed è anche rassicurante.

Ne siamo certi?
La frase finale è: "Andrà tutto bene" ripetuta tre volte. È quello che vogliamo sentirci dire oggi e da sempre, fin da quando siamo bambini.

Dunque nessun fastidio da parte del pubblico per il tema e il linguaggio?
Mai registrato. Casomai gratitudine. Il teatro deve provocare.

Gratitudine perché?
Con grande dolcezza, anche con humor: si ride tanto, mi creda. Portiamo chi è in sala a domandarsi: "Ce l’ho fatta a essere quello che volevo essere? E se no, sono disposto a fare qualcosa per riprendere me stesso?".

Fra una storia e l’altra passano 50 anni: in alcuni punti della pièce sembrerebbe che l’omosessualità da "vergogna e malattia" sia diventata una moda.
C’è ancora paura a dichiararsi. Ma, come per altre cose, c’è una "normalizzazione".

Che cosa vuol dire?
Il mondo ci è cambiato sotto il naso in 50 anni come non era cambiato in mille. L’individuo è passato in secondo piano. È sparito il senso del pudore: sono cresciuto con l’idea che l’intimità fosse da preservare. Oggi se non condividi non esisti. Così ti posti in mutande...

In The pride si parla anche di solitudine e di tradimento.  
La prima è il male del nostro secolo. Si muore di solitudine. In nome dell’individualismo, si rinuncia agli altri. Oggi, una famiglia di tre persone è grasso che cola, mentre un tempo si nasceva, cresceva e moriva in casa perché si riunivano vari nuclei famigliari, e ci si aiutava.
Il tradimento invece è sintomatico di due cose: o il rapporto è bello che finito, o l’uomo ha bisogno di conferme. Un legame deve essere curato in tutti i suoi aspetti, erotico compreso.

Sesso e amore: stessa cosa?
Con il sesso siamo agli sgoccioli, se ne parla tanto e se ne fa poco. È sempre più virtuale e meno vissuto. C’è anche tanta noia e ignoranza sul sesso.

Ha una popolarità sconfinata, però  Montalbano è anche una gabbia dorata: la gente la sovrappone al personaggio, come fu per Rita Hayworth con Gilda.
La Rai sta mandando in onda in maniera sconsiderata gli episodi del mio commissario. Fortunatamente faccio una quantità di altre cose, le riprese per la tv mi occupano due mesi ogni due anni. Il resto è teatro e cinema.

Prossimi film?
Uno francese, Les filles de Reims, dove faccio il papà di una ragazza di una squadra di calcio femminile. Poi c’è Thanks for vaselina, trasposizione di una commedia surreale di successo. Sono un travestito che torna a casa dai figli.

Prima gay, poi travestito: come sopravviveranno le sue fan, lei che è considerato il macho italiano per eccellenza?
È un ruolo meraviglioso. Si innamoreranno del personaggio. Vedrà.

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Stefania Berbenni