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Cristiano De André: questa di Mister C. è la storia vera - Intervista

Un nuovo tour con le canzoni del padre e un'autobiografia senza censure: tra alti, bassi e incontri straordinari

"Mi avvicino a De Gregori con l’insistenza insolente che solo un bambino può avere, gli salto al collo e gli chiedo: scusa Francesco, ma perché Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole mentre il mondo sta girando senza fretta? Volevo capire". La sua risposta fu: "Dai ragazzino, fai il bravo, stai tranquillo e lasciami respirare" racconta Cristiano De Andrè, 53 anni, figlio di Fabrizio.

D’altra parte, stava chiedendo delucidazioni sul senso di un testo al cantautore che ha scritto Niente da capire.
Vero. Infatti continuò a non rispondermi per tutto il tempo che si fermò in Gallura a casa di mio padre. Un mese: trascorrevano ore in pigiama seduti sul divano di casa a comporre. Poi, un giorno Francesco sbottò: adesso puoi smetterla, io e tuo padre abbiamo scritto una canzone per te, Oceano, che contiene le risposte a tutte le tue domande. Basta che apri bene le orecchie.

Le ha poi trovate le risposte in quelle strofe?
Sì, in versi straordinari come: arrivò un bambino con le mani in tasca e un oceano verde dietro le spalle. Vorrei sapere, quanto è grande il verdecome è bello il mare, quanto dura una stanza,
è troppo tempo che guardo il sole, mi ha fatto male.  

Sta per tornare in tour con la terza edizione di De André canta De André (la prima data il 24 giugno alla Cavea di Roma)
Sento il dovere e anche il piacere di prendere quello che mio padre mi ha lasciato come eredità artistica e di portarlo avanti senza necessariamente fare un banale copia e incolla. Non ci trovo niente di male. Anzi, è un modo piacevole di far arrivare la sua musica a una nuova generazione di ragazzi. Ovviamente, questo non vuol dire che io non voglia continuare a scrivere e a incidere le mie canzoni.

Dal punto di vista emotivo e sentimentale, che cosa significa ricantare suo padre?
Sento la responsabilità di avere qualcosa di molto importante tra le mani, ma la cosa più toccante è che, interpretando tutte le sere i suoi brani, scopro qualcosa di lui che non avevo colto quando era vivo. Sono lampi intimi molto rivelatori.

Da ragazzino, nella sua casa di Genova, è stato spettatore di show straordinari che andavano in scena su un mitico soppalco.
Dal salotto partono delle scale che portano alle stanze. Questa anticamera prospicente alla sala diventò un palcoscenico. Lì sopra, Paolo Villaggio realizzò la trasformazione da Fracchia a Fantozzi mostrandoci in anteprima la gag, poi passata alla storia, delle polpette di Bavaria. Anche Walter Chiari era eccezionale. Ognuno aveva 20, 25 minuti a disposizione: spesso partecipavano anche Ugo Tognazzi, Marco Ferreri, De Gregori. Ho sentito in quelle serate il sapore della creatività che si sprigionava libera e senza confini. C’era appena stato il ‘68 e si stava sollevando la cappa dell’oscurantismo socio-politico dei decenni precedenti.

Esce per Mondadori la sua autobiografia, La versione di C., un libro intenso, ma anche sofferto e tormentato.
Mi sono messo a nudo, è stata una specie di analisi per sconfiggere certi fantasmi che mi aleggiavano intorno. Uno sforzo terapeutico che spero possa servire anche ai miei figli per fargli capire chi sono io. Avevo un gran bisogno di fare chiarezza.

Domanda secca: la sua, fin qui, è stata una bella vita?
Di sicuro non mi sono mai annoiato. La mia è stata una vita con tanti alti e bassi, ma in definitiva mi considero un uomo fortunato.

Quanto è stato complicato e difficile il rapporto con un padre come il suo? Nel libro lei affronti questo nodo?
Certo. Fabrizio non era un padre difficile in sé. Quel che era difficile era stare vicino, da adolescente, a una persona che aveva un enorme problema con l’alcol. Era un grandissimo poeta e sul palco è sempre riuscito a starci benissimo anche quando era in condizioni precarie. Incredibilmente riusciva sempre a cantare. Ci sono voluti 23 anni perché questa condizione cambiasse, ma purtroppo il nuovo corso è durato poco: se n’è andato.

Proveniendo da un mondo artistico come il suo, che effetto le fanno le carriere lampo da talent show?
Gli ultimi decenni non potevano che produrre questo. Quando ci si allontana dalla bellezza, dall’arte e dalla cultura e ci si inginocchia alla filigrana si perde di vista il senso. I ragazzi dei talent, che tra l’altro sono il minore dei mali, non hanno colpe, sono solo figli del loro tempo. Un tempo di compravendita di stessi, dove si vendono in tv emozioni, sentimenti, faccende intime. Così, senza un perché.

Come veniva considerato suo padre nella scuola cattolica dove ha studiato da bambino?
I preti contestavano quel che cantava, ma soprattutto non piaceva il fatto che lui avesse deciso di capire Cristo e il suo messaggio attraverso i Vangeli apocrifi. Sembrava che l’avesse fatto apposta a farmi frequentare una scuola di preti prima di incidere La Buona Novella, un disco intero basato proprio sui Vangeli apocrifi.     

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Silvia Morara
1° aprile 2016, Genova. Cristiano De Andrè a Panorama d'Italia

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