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Ecco cosa possiamo aspettarci dalla nuova rivoluzione industriale

Il saggio di Ryan Avent esplora l’impatto della tecnologia e della digitalizzazione sul lavoro

Dopo il successo di “Il capitale nel XXI” di Thomas Piketty, un altro economista si prepara ad attirare l’attenzione con un titolo che richiama la principale opera di Adam Smith, “La ricchezza delle nazioni”.

Fresco di libreria infatti, “The wealth of humans”, cioè “La ricchezza delle persone”, un saggio di Ryan Avent, editorialista dell’Economist che ipotizza l’avvento di una nuova rivoluzione industriale sulla spinta della tecnologia e della digitalizzazione.

La miccia di un cambiamento che vedremo svolgersi nei prossimi decenni sarà una crisi di abbondanza. Per capire il significato di questo paradosso, suggerisce The Atlantic che dedica un articolo all’argomento, bisogna fare un passo indietro, all’inizio del XXI secolo.

Fra il 1923 e il 1929, nelle fabbriche americane la produzione di lavatrici è cresciuta del 30%: gli elettrodomestici, sempre più economici e diffusi, hanno saturato il mercato e le fabbriche, dunque, hanno licenziato i lavoratori. Ed è proprio nel surplus di prodotti, che ha generato un surplus di lavoratori, che alcuni economisti ritrovano una delle cause scatenanti della Grande Depressione.


Il surplus di lavoratori
Il caso delle lavatrici, dunque, dimostra come l’abbondanza possa pasare da fattore positivo a fattore negativo.

Secondo Avent, la stessa cosa sta succedendo al lavoro: la tecnologia, la digitalizzazione e le macchine hanno il potere per trasformare i lavoratori in un surplus. La rivoluzione digitale, secondo l’autore, sarà altrettanto trasformativa della rivoluzione industriale e si può guardare alla prima per immaginare cosa accadrà in quella che stiamo vivendo.

Ma come si conciliano le teorie di Avent in un mercato in cui, come quello americano, la disoccupazione è scesa sotto il 5%, il settore privato ha creato una quantità di lavoro record negli ultimi 77 mesi consecutivi e i salari crescono alla velocità maggiore dalla recessione?

“Bisogna guardare allo scenario allargato”, risponde l’esperto. “Per molti lavoratori mediamente specializzati e soprattutto uomini, gli stipendi sono stagnanti da diversi decenni. A parte l’1%, molte persone non se la passano affatto bene”.

Se si prendono in considerazione i paesi industrializzati, si nota una relazione negativa fra la crescita dei salari, la produttività e la crescita dell’occupazione. Un caso classico è il Regno Unito. Qui, l’occupazione ha toccato livelli record, ma la crescita dei salari è più bassa di quella degli Stati Uniti e della maggior parte dell’Europa.

Questo fatto suggerisce che il principale tipo di impiego sia in professioni a bassa produttività. E questo imprimerà un’ulteriore accelerazione alla teoria di Avent, perché se i lavoratori meno qualificati diventano più costosi, le imprese avranno sempre più interesse a sostituirli con la tecnologia.


Il paradosso dei rapporti interpersonali
Le cose andranno in maniera diametralmente opposta per l’1%. Nel suo saggio, Avent incrocia la variabile lavoro con quella abitativa. Le persone più ricche e liberali che professano l’inclusione culturale ed economica abitano in realtà in zone che non hanno nulla di inclusivo, ma molto di esclusivo.

Basta guardare ai grattacieli su Park Avenue, dove i miliardari, che hanno le risorse per vivere in ogni angolo di mondo, abitano uno sull’altro. Saranno proprio queste realtà e città come Londra, New York e San Francisco le prime ad adottare la tecnologia che sostituisce i lavoratori, proprio perché sono gli epicentri della produzione della ricchezza e della cultura. Ma c’è una cosa che, quando si parla di lavoro, diventerà esclusiva in queste enclavi: il rapporto interpersonale.

“Mantenere lavoratori altamente specializzati sarà un segno di ricchezza nelle città del futuro, dove la tecnologia e i robot avranno sostituito i lavoratori meno skillati”, conclude Avent. Sono un esempio le baby sitter e i tutor di latino da 120mila dollari l’anno che punteggiano l’Upper West Side di New York. 

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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