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Tecnologia

L'Ue dice sì al copyright ma potrebbe essere una vittoria di Pirro

Via libera dagli eurodeputati. Ora la trattativa fra Commissione, Parlamento e Consiglio europeo. Ma bisogna chiudere prima delle elezioni del 2019, altrimenti la palla passerà alla nuova assemblea. Con tutte le incognite sulle maggioranze

Alla fine del voto l'eurodeputato Axel Voss, relatore dell'ormai famigerata direttiva sul copyright, esce dall'Aula raggiante. Tedesco, 55 anni, avvocato, eletto a Strasburgo dal 2009 nelle fila della CDU, Voss potrebbe ora passare alla storia come l'uomo che ha riformato il diritto d'autore in Europa e imposto ai giganti del web di pagare dazio.

Questo nonostante la mastodontica campagna di lobby portata avanti da mesi dalle big tech americane per stoppare il provvedimento.

Come le migliaia di mail inviate alle caselle degli europarlamentari fino all'ultimo istante (l'onorevole italiana Silvia Costa lamentava di averne ricevute mille in un'ora nelle ultime tre notti) pur di convincere l'Aula di Strasburgo a replicare il rinvio (che rischiava di diventare una bocciatura) di luglio.

E invece, con una maggioranza di 438 voti favorevoli, 226 contrari e 39 astensioni, si va avanti.
Che cosa cambia?

Nella nuova versione del provvedimento esentate le piccole realtà

La modifica sostanziale del testo approvato mercoledì 12 settembre, rispetto al precedente respinto prima dell'estate, riguarda la deroga per i piccoli (app, start-up, aggregatori e microimprese) dal rispetto dell'articolo 13, uno dei due punti più controversi delle nuove regole per via del cosiddetto «upload filter» (filtro sugli upload).

In breve, le piattaforme digitali dovranno «siglare contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne una».

In alternativa, gli stessi provider devono predisporre «misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di lavori».
Per esempio: se un artista carica un video su una piattaforma dovrà concedere i diritti della sua opera e la piattaforma dovrà versare il dovuto per questi. Sta all'artista decidere se farlo, alla piattaforma rispettare le regole o disporre le modifiche tecniche per non pubblicare i contenuti.
«Ma tali filtri» spiega lo stesso relatore Voss «sono costosi e questo avrebbe penalizzato le microimprese: di qui la modifica». Lo stesso vale per i singoli individui, enciclopedie libere (come Wikipedia), piattaforme open source per i quali era già prevista l'esenzione.

Invariato l'articolo 11 per la tutela della qualità dell'informazione giornalistica

Resta l'articolo 11, impropriamente ribattezzato «link tax», che prevede a beneficio degli editori di giornali «una giusta e proporzionata remunerazione per l'uso digitale delle pubblicazioni da parte dai provider».

In altre parole, le grandi piattaforme non potranno più fare traffico (e guadagnare in pubblicità) grazie agli articoli dei giornali senza riconoscere i rispettivi diritti d'autore (ovvero di quanti hanno lavorato per produrre quei contenuti).

Quali le prossime tappe?

La melina del «trilogo» per far slittare tutto dopo le europee

Il voto degli eurodeputati ha dato il via libera al cosiddetto «trilogo» ovvero la trattativa fra Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio europeo in vista dell'approvazione finale che molti vorrebbero entro la fine dell'anno o ai primi del 2019. E qui iniziano i problemi.

Ufficialmente, i governi europei non hanno una posizione concordata ma solo un «general approach», una sorta di lettera d'intenti.

Non serve l'unanimità (il voto è a maggioranza qualificata) ma è noto che non tutti condividono questa riforma. A partire da Lega e Movimento 5 Stelle (entrambi hanno votato contro il provvedimento a Strasburgo).

Non a caso, il vicepremier Luigi Di Maio, ha bollato – con un post su Facebook - l'approvazione di oggi come «una vergogna» promettendo battaglia «nei negoziati tra i governi, in Parlamento europeo e nella Commissione europea» e assicurando che «alla prossima votazione d'aula la direttiva verrà nuovamente bocciata».

Per il governo italiano competenze condivise fra Mise e Mibact

Va ricordato che, per tale materia, le deleghe sul digitale nel governo italiano sono condivise fra il ministero dello Sviluppo economico (di cui è titolare lo stesso Di Maio) e il ministero per i Beni culturali (alla cui guida c'è Alberto Bonisoli) con il coordinamento del ministro alle Politiche comunitarie, Paolo Savona.

Si prevede che il negoziato inizierà subito ma, se i lavori procedessero lenti, si aprirebbe un'incognita in più.

Viste le elezioni europee fissate a maggio, infatti, la sessione di aprile sarà l'ultima disponibile per il varo finale. Uno slittamento, costringerebbe a consegnare tutto al prossimo Parlamento europeo, la cui maggioranza è oggi molto incerta. Insomma, quella di oggi potrebbe essere una vittoria di Pirro. Nei prossimi mesi, si vedrà.

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Anna Maria Angelone