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Tecnologia

Cleveland: il video dell’omicidio che non avremmo voluto (e dovuto) vedere

L’omicidio trasmesso su Facebook mette a nudo l'inadeguatezza dell’attuale sistema di sorveglianza del social network

Cosa resterà, al di là dell’orrore e dello sdegno, dell’omicidio perpetrato da Steve Stephens, l’uomo di 34 anni che la domenica di Pasqua, a Cleveland, ha ucciso senza motivo un anziano pensionato di 74 anni, filmando e pubblicando il suo folle gesto su Facebook

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Ci sono alcuni aspetti su cui vale la pena riflettere.

Il primo, il più immediato, riguarda il fatto in sé. Non una novità, purtroppo, per chi segue le vicende di cronaca nera. Quello di Cleveland non è il primo caso di omicidio in diretta. Né sarà l’ultimo. Nell’agosto del 2015, solo per citare un caso altrettanto eclatante, una reporter americana e il suo cameramen furono freddati a colpi d’arma da fuoco proprio durante un servizio in diretta Tv.

Di fronte all’ennesima tragedia "in chiaro" vien facile chiedersi che ruolo abbiano i media in tutto questo teatro dell’assurdo. Perché è evidente: chi si rende protagonista di gesti così efferati e al tempo stesso plateali non vuole nascondersi, tutt’altro. Cerca anzi un modo per amplificare le sue azioni. Uccidere in diretta per urlare al mondo un disagio, forse per chiedere aiuto per l’ultima volta prima di abbandonarsi all’istinto omicida. Non è un caso che l'assassino di Cleveland non si sia limitato a uccidere ma abbia voluto spiegare pubblicamente dapprima il suo passato da killer seriale, per poi rivelare le sue future intenzioni.

Con Facebook siamo tutti in diretta (anche i killer)
Di nuovo (ma nemmeno troppo) c’è qui l’idea di utilizzare un social network, Facebook per l’appunto, un mezzo più accessibile rispetto ai media tradizionali, ma non per questo meno potente. Perché in fondo nel 2017 non serve andare in Tv per essere una celebrità. Basta uno smartphone, un telefonino connesso a Internet, ed ecco che chiunque, persino un killer, può trasformarsi in un broadcaster capace di trasmettere in mondovisione.

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Ma - a questo punto la domanda sorge spontanea - dov’era Facebook mentre la tragedia si consumava praticamente in diretta? Per qual motivo lo staff di Menlo Park ha impiegato più di due ore per rimuovere un video da censurare subito senza "se" e senza "ma"?

Il problema delle segnalazioni
In un post pubblicato lunedì, Justin Osofsky sembra quasi voler scaricare la patata bollente sugli utenti: “Abbiamo rimosso il video 23 minuti dopo aver ricevuto la prima segnalazione”, spiega l’attuale VP Global Operations di Facebook. Il problema - precisa però il responsabile - è che tale segnalazione è arrivata dopo più di un’ora e 40 minuti dalla pubblicazione del video incriminato. Come dire, ci saremmo mossi per tempo se solo qualcuno ci avesse avvisato prima.

Più lucido il commento di Mark Zuckerberg, che durante la conferenza di apertura dell’F8, ha ammesso senza troppi giri di parole che la sua società "ha ancora molto da fare per evitare che tragedie di questo tipo possano ripetersi nuovamente".

Un modello inadeguato
L’impressione, al netto delle reazioni a caldo, è che il modello di sorveglianza adottato da Facebook per casi così drammatici sia ormai inadeguato. Che si tratti di omicidi in diretta piuttosto che di foto, video e testi che inneggiano al terrorismo, alla pedopornografia o ad altri fatti censurabili, l’idea che nulla si muova senza una segnalazione preventiva inviata dagli utenti sta diventando al limite del paradossale.

Certo, controllare in modo capillare una popolazione che ha quasi raggiunto i due miliardi di utenti sarà pure una missione al limite dell'impossibile, ma ci viene difficile credere che Facebook non abbia le risorse - tecnologiche ed intellettuali, ancor prima che economiche - per tarare un sistema di contrappesi più efficace di quello attuale.

Le pagine educative e le buone intenzioni non bastano più. Occorre passare ai fatti. Occorre prendere coscienza degli oneri - oltre che degli onori - che comporta gestire una comunità di iscritti così numerosa e ripensare in toto i criteri di sicurezza.

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Roberto Catania

Faccio a pezzi il Web e le nuove tecnologie. Ma coi guanti di velluto

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