Woody Allen, con l'accusa di pedofilia si è giocato l'Oscar?
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Woody Allen, con l'accusa di pedofilia si è giocato l'Oscar?

In passato l'Academy ha mostrato di voler premiare l'arte e non le vicende personali dell'artista. Sarà così anche stavolta? Ma forse sarà proprio il giudizio estetico a correre in soccorso dell'etica

Il talento e la validità di un'opera vanno separati dalle vicende personali e dagli aspetti più torbidi del suo artista? Questo è il dubbio che forse tormenta i circa seimila giurati dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, chiamati in questi giorni a votare i loro Oscar. Le durissime accuse di pedofilia piovute nuovamente su Woody Allen affosseranno la sua corsa alle prestigiose statuette? Il giudizio estetico va separato da quello morale?

Precisiamo innanzitutto che non ci sono certezze né sentenze contro il regista americano. Le parole che però Dylan Farrow ha consegnato al New York Times in una lettera sono macigni. "Qual è il vostro film preferito di Woody Allen? Prima di rispondere dovreste sapere che quando avevo sette anni, Woody Allen mi prese per mano e mi portò in una piccola soffitta al primo piano di casa nostra, mi disse di stendermi e di giocare con il trenino di mio fratello. Quindi abusò sessualmente di me". La figlia adottiva di Mia Farrow, oggi ventisettenne, ha lanciato la sua denuncia Urbi et Orbi dopo che ai Golden Globe 2014 Allen ha ricevuto il premio alla carriera, ritirato da Diane Keaton, e dopo le nomination agli Oscar che, ancora una volta, lo vedono tra i protagonisti.

Gli abusi recriminati risalirebbero al 1993, quando Mia Farrow, allora compagna di Allen, ha lottato legalmente contro di lui per la custodia dei tre figli (due adottati durante la relazione di dodici anni con Allen, uno biologico), tra cui Dylan. La separazione tra Mia e Woody fu conseguente alla scoperta della relazione clandestina tra il regista e Soon-Yi Farrow Previn, orfana coreana precedentemente adottata dalla Farrow. Già allora, durante il processo, la Farrow accusò l'ex compagno di abusi sessuali sulla figlia adottiva Dylan, ma le accuse furono ritenute prive di fondamento.

Nella lettera Dylan sfida anche Hollywood e la cerchia di collaboratori di Allen: "E se fosse successo a tuo figlio, Cate Blanchett? Louis CK? Alec Baldwin? Se fosse successo a te, Emma Stone? O a te, Scarlett Johansson? Tu mi conoscevi quando ero una bambina, Diane Keaton. Ti sei dimenticata di me? Woody Allen è il testamento vivente di quanto la nostra società non sia capace di difendere le vittime di abusi sessuali".

Blue Jasmine, l'ultimo film di Woody Allen, ai Golden Globe è valso il premio come migliore attrice alla Blanchett. Ora è in corsa per tre Oscar, tra cui migliore attrice protagonista sempre per la Blanchett, migliore attrice non protagonista per Sally Hawkins e - la nomination più scottante - miglior sceneggiatura originale, scritta da Woody Allen. 

Al Santa Barbara International Film Festival Cate Blanchett ha già risposto, in maniera sfuggente ma abbastanza elegante, all'Hollywood Reporter che le chiedeva un commento alla lettera della Farrow: "È stata ovviamente una situazione lunga e dolorosa per la famiglia e spero che trovino qualche soluzione e pace". 

Dal canto suo la Sony Pictures Classics, che ha distribuito Blue Jasmine, in un comunicato ha preso questa posizione: "Il signor Allen non è mai stato condannato in relazione a tutto questo e merita quindi la nostra presunzione di innocenza".

Il New York Times ha scartabellato nel passato dell'Academy per capire quanto l'etica influenzi le sue scelte. L'anno scorso Zero Dark Thirty, il film di Kathryn Bigelow sulla caccia a Osama Bin Laden, fu aspramente criticato da funzionari pubblici e da alcuni membri dell'Academy perché ritenevano sostenesse l'uso della tortura e che falsamente suggerisse la sua utilità nello scovare il nemico pubblico numero uno. Alla fine, nonostante le cinque nomination (tra cui miglior film e migliore attrice per la bravissima Jessica Chastain), Zero Dark Thirty si portò a casa solo un Oscar tecnico, per il montaggio sonoro. 

Sempre nel 2013 Vita di Pi subì critiche ma di natura diversa, con la protesta degli artisti degli effetti visivi che si lamentavano di esser stati sottopagati. Delle undici candidature il film incassò quattro riconoscimenti, tra cui quello alla miglior regia per Ang Lee e quello ai migliori effetti speciali.

In un caso che tanto ricorda quello attuale di Allen, l'Academy mostrò di voler premiare l'arte, non il comportamento dell'artista. Nel 2003 Roman Polanski, ancora ricercato per una condanna di stupro, fu incoronato miglior regista per Il pianista e il film ricevette anche l'Oscar per il suo attore protagonista Adrien Brody e per la sceneggiatura di Ronald Harwood.

A mio avviso, però, l'Academy questa volta può non angustiarsi: la sua coscienza può dormire sonni abbastanza tranquilli. Perché mai Sally Hawkins di Blue Jasmine dovrebbe vincere l'Oscar quando come sue rivali ha Jennifer Lawrence, travolgente in American Hustle,  Julia Roberts, dura e viscerale ne I segreti di Osage County, June Squibb, esilarante in Nebraska, Lupita Nyong'o, emozionante in 12 anni schiavo? E la sceneggiatura firmata da Woody può davvero impensierire quella scoppiettante di American Hustle? Diciamocelo, l'unica che ha davvero chance di Oscar - al di là di etica o non etica - probabilmente è Cate Blanchett. Ma di fronte ha una Amy Adams (American Hustle) in grandissimo spolvero. Probabilmente il giudizio estetico correrà in soccorso dell'etica. 

 

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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