Marilyn Monroe, come lei nessuna
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Marilyn Monroe, come lei nessuna

Cinquant'anni fa moriva la diva più amata di Hollywood. Fragile, bellissima, chiacchierata, ha fatto sognare il mondo intero. E non ha  ancora smesso - Tutto su Marilyn

Si stata preparando per un servizio fotografico in una villa di Los Angeles, quando una domestica trovò il coraggio di avvicinarsi. «Lei è veramente Marilyn Monroe? Oddio, non riesco a crederci!». La risposta è leggendaria: «Spesso non riesco a crederci neanche io, ma lo dicono tutti, dev'essere vero...». Era l'estate del 1961, un anno dopo già non c'era più. Quando Marilyn è morta, il 5 agosto 1962, avevo 40 giorni: in pratica, sono arrivato quando lei se n'è andata. Forse è per questo che non sono mai riuscito a desiderarla. Come fai a perdere la testa per una che, se anche fosse viva, avrebbe l'età di tuo padre? È una cosa innaturale, come se i ragazzini di oggi spasimassero per Sharon Stone, leggessero Porci con le ali, ascoltassero i Dire Straits e tifassero per Lauda e Panatta.

Eppure, anche senza la complicità del testosterone, con il passare degli anni la nostalgia è diventata sempre più forte, mescolando complicità, affetto e gratitudine. Succede sempre così: chi viene dopo dice la verità su chi è venuto prima. È stato lo spessore delle dive succedute a Marilyn a farmi capire che era la più grande di tutti. Non la più brava, né la più preparata, né la più professionale (anzi, a dirla tutta, spesso sul set si comportava come una stronza capricciosa e indisponente): solo la più grande. Ne abbiamo viste di tutti i tipi: le pasionarie Jane Fonda e Diane Keaton, la strepitosa Meryl Streep, le magnetiche Hilary Swank e Nicole Kidman. Affascinanti, bravissime, stracolme di Oscar, ma pensateci bene: chi di loro è una leggenda? Marilyn lo è, perché tutto quello che la riguarda è epico, nel bene e nel male.

La sua infanzia, per esempio, sembra tratta da un romanzo di Dickens: madre schizofrenica, padre incerto e comunque assente, traumi di ogni tipo, tra famiglie affidatarie e squallidi orfanotrofi. Per non parlare dei suoi esordi a Hollywood, propiziati dall'intensa e malinconica attività di ragazza facile a disposizione di produttori, giornalisti e papponi. E fermiamoci qui, perché a rievocare gli scandali veri e presunti che hanno coinvolto Norma Jeane Mortenson (questo il suo vero nome) ci hanno pensato anche quest'anno gli squallidi biografi pronti a invadere librerie e siti con le solite tiritere. Suicidio? No, l'hanno uccisa. Chi? I Kennedy, la mafia, la mafia d'accordo con i Kennedy. Perché? Aspettava un figlio da un potente, e non voleva abortire. Sapeva troppo, e minacciava di vuotare il sacco. Come l'hanno fatta fuori? Una supposta avvelenata, un clistere tossico...

Povera Marilyn, pur di raccattare qualche dollaro le hanno frugato perfino nelle viscere. Eppure, ecco un altro segno di grandezza, a uscirne insozzata non è stata lei, ma la marmaglia che ha giocato sporco. Non era facile rimanere la fidanzata d'America dopo essere stata a letto con mezza Hollywood, aver posato nuda per un calendario nel 1949 (quando bastava un bikini per scatenare un pandemonio) e aver fatto l'alba tra pillole e bottiglie con soggetti non proprio immacolati, da Frank Sinatra in giù. Marilyn però ci è riuscita: il fango scivolava miracolosamente su di lei che, per quanto depressa, alcolizzata e dipendente dai tranquillanti, restava sempre “la” diva. Lo sapevano tutti: i fan, la stampa, e soprattutto i registi e gli attori che maledicevano i suoi ritardi e le sue amnesie, ma erano consapevoli che era lei a fare la differenza, trasformando in oro quello che toccava. L'unica a non rendersene conto era proprio la diretta interessata, soffocata dall'ansia che nessuno le volesse bene. Illuminante al riguardo, il ricordo di un press agent: «Quando si trovava davanti a uno specchio, restava incantata: le sembrava impossibile che la bellissima donna che aveva davanti stesse guardando proprio lei».

In ogni caso, Marilyn non era solo un sex symbol e un personaggio da cronache mondane: era anche una grande attrice. Nel suo curriculum ci sono come minimo tre grandi film e un capolavoro. Alla prima categoria appartengono Quando la moglie è in vacanza, Gli uomini preferiscono le bionde e Come sposare un milionario. Il gioeillo è A qualcuno piace caldo, la madre di tutte le commedie, diretta da Billy Wilder (uno che nel paradiso dei registi siede al centro, tra il Figlio e lo Spirito Santo) e interpretato da due mostri come Jack Lemmon e Tony Curtis. La storia è arcinota: due musicisti di Chicago sono testimoni del massacro di San Valentino, e si ritrovano la mafia alle calcagna, ansiosa di chiudere loro la bocca. Per salvarsi la pelle, si travestono da donne e trovano lavoro in un'orchestra tutta femminile, in partenza per la Florida. Sul treno conoscono la bellissima Zucchero, una bionda da urlo che canta, suona l'ukulele e beve un po' troppo. Un'apparizione folgorante, che complica i loro piani...

Regia, sceneggiatura, cast, musica, costumi: in questo film tutto fila liscio come l'olio. Anche stavolta, come in tutti i film della Monroe, vale però il solito discorso: se non ci fosse stata lei, non sarebbe stata la stessa cosa. Due anni dopo la “prima”, gli americani facevano ancora la fila per entrare al cinema. Secondo voi chi volevano vedere? Marilyn, la donna alla quale non solo gli studios, ma anche l'America più bacchettona erano disposti a perdonare tutto. Lei, quasi incredula, ricambiava regalando la merce più preziosa: i sogni. Quelli dei suoi coetanei erano proibiti, i miei molto meno: chiudo gli occhi, e mi ritrovo su un treno in bianco e nero, diretto a Miami. Jack e Tony stavolta non ci sono, e lei suona solo per me.

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Alberto Rivaroli