Gemini Man
Paramount Pictures, Skydance and Jerry Bruckheimer Films
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Gemini Man e la clonazione tecnologica di Will Smith

L'attore interpreta se stesso in versione attuale, 51enne, e il suo alter ego giovane, 23enne. Per Ang Lee una sfida action e digitale

Will Smith cinquantunenne contro Will Smith ventitreenne. È la sfida di action e tecnologia di Gemini Man, film (dal 10 ottobre in sala) che vuole spostare avanti i confini digitali inesplorati del cinema. Il nuovo guanto lanciato al futuro di Ang Lee, regista che nella sua filmografia ha saputo mettere tanto cuore e pochi orpelli, come ne I segreti di Brokeback Mountain, ma ha anche intrapreso con entusiasmo strade più innovative sul fronte effetti visivi, come in Vita di Pi, in 3D e con cast animale completamente creato al computer. 

Will Smith battaglia in sequenze a ritmo fotonico contro un suo clone giovane. Lo interpreta sempre lui, ma sullo schermo non c'è un Will Smith ringiovanito ma un essere umano digitale completamente nuovo.

Ang Lee con ardore guarda al domani: "Non stiamo solo facendo qualcosa di buono, stiamo scoprendo qualcosa di nuovo, un nuovo concetto di cinema. Tra cinquecento anni guarderanno indietro e diranno 'Oh, per i primi cento anni hanno fatto film così'. È come per i film muti, per i suoni, i colori. Abbiamo attraversato tutto ciò! Questa è un'altra dimensione". E ancora: "Un'esperienza cinematografica rivoluzionaria". 

La tecnologia iperrealistica

Okay, forse tra cinquecento anni Gemini Man sarà visto come un apripista in un passato arcaico. Ma al momento risuona come un film dalla trama che punta all'originalità, per ricadere però sul già visto, e che sul fronte visivo lascia sensazioni strane. Immergersi nei pori della pelle di un Will Smith giovinastro ad alta definizione è strano. Com'è strano poi, sul finale, veder quel giovincello camminare in modo un po' dinoccolato e innaturale. Il risultato è un po' disorientante, ma quanto basta convincente. Due volte su cinque ci lasciamo trasportare dalla storia e non ci soffermiamo invece, ossessivamente, a controllare i magheggi digitali di quel Will Smith ragazzo. 

Per replicare Smith a 23 anni, Gemini Man non ha usato la tecnica del "de-ageing", il ringiovanimento digitale, che usa effetti speciali per appianare i segni dell'invecchiamento su un attore. I cineasti hanno creato una sorta di maschera digitale di Will Smith a 23 anni, talvolta usando vecchi filmati di Smith, e poi l'hanno estesa su viso e corpo dell'attuale Will Smith.

Inoltre, il film è stato girato in 4K 3D ad altissima definizione e a 120 fotogrammi al secondo (a differenza dei tradizionali 24 fotogrammi al secondo), frequenza che Lee aveva già utilizzato per Billy Lynn - Un giorno da eroe. Uno spettacolo a massima nitidezza, realizzato da Weta Digital, il pool già dietro ai film de Il Signore degli Anelli

Non basta un Will Smith contrito

Will Smith interpreta Henry Brogan, un sicario governativo che, dopo 72 uccisioni andate a buon fine, decide di ritirarsi. Peccato però che dagli alti piani - Clayton Verris (Clive Owen) su tutti - la pensino diversamente sul suo avvenire: Henry deve morire. Ma chi può riuscire a uccidere il sicario migliore in circolazione? Semplice, il suo clone giovane. Il suo più acerrimo nemico diventa la versione 23enne di sé, Junior, che lo inseguirà da Cartagena per tre continenti, impegnandolo in frequenti corpo a corpo. Ecco Will Smith agé prendere a botte Will Smith le jeune

Nel duello contro la persona che meglio di ogni altro può prevedere e schivare le proprie mosse, Henry e Junior si scontrano in inseguimenti in moto, battaglie a fuoco, calci piazzati. Henry, dal volto sempre così esageratamente afflitto, come se avesse addosso i tormenti del mondo. E Junior, anche lui contrito di tormenti. 

La spalla migliore di Will Smith non è però il suo alter ego senza rughe ma Mary Elizabeth Winstead che, nei panni dell'agente Danny Zakarewski, con la sua espressività genuina e diafana porta un po' di luce sui ripetuti sguardi torvi e pesantoni di Henry & Junior. 

Insomma, Gemini Man dal punto di vista narrativo non aggiunge niente a quanto conosciamo già. Vale la pena vederlo più che altro in virtù del suo approccio tecnologico innovativo. Per vivere appieno l'esperienza, però, assicurarsi che il cinema che lo proietta lo mostri nella sua massima espressione: a 120 fotogrammi e in 3D. 

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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