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Bedevil – Non installarla. Al cinema l’app che fa morire di paura – La recensione

Dai fratelli Vang, ideatori di “Final Destination”, un horror allegorico che attraverso lo smartphone materializza paure inconsce e incubi infantili

Quando i sette studenti del college, seduti attorno a un tavolo,  decidono di depositarvi  i loro cellulari, potrebbe accadere di tutto. Perfino che stia lì lì per cominciare il remake di Perfetti sconosciuti. Invece no. Bedevil – Non installarla, in sala dal 28 giugno, diretto dai californiani Vang Brothers (Abel e Burlee, tra l’altro ideatori di Final Destination e vincitori, anni fa, del Nicholl Fellowships in Screenwriting, lo speciale premio gestito dall’Academy Awards per promuovere i giovani sceneggiatori) prende subito un’altra strada, disseminata di trappole, improvvisate perfide e lusinghe mefistofeliche.

A dire il vero un perfetto sconosciuto c’è. Un mezzobusto senza volto, papillon rosso e voce suadente. E  una gran voglia, tra l’altro, di farsi conoscere dalle persone che prima adesca poi acciuffa con l’app che scaglia attraverso i loro smartphone promettendosi efficiente e servizievole alla maniera, fate voi, dei vari Siri, Cortana, Alexa e Google Now. Insomma un maggiordomo elettronico. Che tutto sa di coloro, in questo caso i giovani studenti del college, disposti a servirsene.

Quella figura senza volto sa tutto delle sue vittime

Comodo? Mica tanto. Perché Mr. Bedevil, così si chiama il tipo annidato nel telefono – che tra l’altro sfodera di tanto in tanto un simbolo minacciosamente demònico – ha una tale intimità con le sue vittime da conoscerne perfettamente  i peggiori incubi infantili, magari una vecchia malefica, un pelouche sinistro, un clown, una donna giapponese incinta e suicida.  E via così. Divertendosi, soprattutto lui, a terrorizzare gli adolescenti materializzando quelle figure davanti a loro in modo aggressivo, feroce, deforme e incontrollabile, preferibilmente nell’oscurità e in solitudine. A ciascuno il suo incubo insomma. Con effetti letali perché, a furia di subire quei supplizi visionarii, molti dei giovinetti, se non tutti, ci lasciano le penne: uccisi, per infarto, dalla paura.

Disinstallare non si può: e comunque non basterebbe

Si dirà: basterebbe disinstallare l’app. Macchè. È una di quelle inestirpabili pure se questa potrebbe essere l’unica strada da percorrere per scappare dall’inferno. Se qualcuno ci riuscirà – e il destino potrebbe essere nelle mani di qualche genietto dell’informatica – sarà l’epilogo a dirlo, ma allora l’applicazione luciferina avrà trovato molte strade, immaginare quante, per albergare nei telefoni del pianeta.

I mondi scuri delle applicazioni e dei motori di ricerca

Così l’horror emigra sui social e sui cellulari, dopo aver passeggiato in lungo e in largo nelle altre dimensioni, transitando prima su televisori e pc, arrivando l’anno scorso a facebook col discreto tedesco Friend Request di Simon Verhoeven, approdando adesso nell’imbrogliatissimo universo delle app  e di una rete che sembra fatta apposta per cascarci dentro. Con uno schema apparentemente classico nel solito manipolo di studenti del solito college alle prese col nemico comune e una serie di eventi  allucinatorii e inesplicabili. Ma con motivi allegorici abbastanza profondi, non tanto e non solo nei mondi scuri delle applicazioni che interagiscono con le vite di ciascuno, quanto nei poteri e delle “super-intelligenze” (artificiali ma non troppo) dei motori di ricerca capaci di scannerizzare in profondità gli strati dei loro utenti, memorizzando gusti, abitudini, frequentazioni, spostamenti, attività d’ogni tipo.

Un campionario di visioni mostruose urlanti e gementi

Una prerogativa, per così dire, di genere. George Romero insegna. Fin dagli anni dei suoi primi living dead alle prese con una cospicua razione di critica sociale. I tempi cambiano, ovviamente, il terrore si adegua e diventa virale, in questo caso con un film di buona fattura e una dose sufficiente di trepidazione, sgomento e inquietudine in ambito psico-patologico con tutte le sue fantàsmiche proiezioni di paure inconsce nel campionario urlante e gemente di ombre giapponesi, pupazzi ondeggianti, pagliacci slabbrati, spettri rugosi e sbavanti.

Neppure gli attori sfigurano nel contesto. Niente star ma volti freschi capeggiati, nei panni di Alice, dalla Saxon Sharbino del remake di Poltergeist nonché Amelia Robbins della tv-serie Touch. Tra gli altri Alexis G. Zall (Nikki) che dura poco perché è la prima vittima dell’app ma viene evocata a lungo; Mitchell Edwards nella parte di Cody che è nero e per questo – molto autoironicamente - si vanta di non essere il primo del gruppo ad essere ucciso in un horror; Carson Boatman, il Gavin perseguitato dai clown;  Brandon Soo Hoo, il Dan terrorizzato dal nippo-ectoplasma.

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Adler Entertainment distribuzione, Ufficio stampa film Echo Stefania Gargiulo, Giulia Bertoni, Stefania Collalto, Digital PR Silvia Saba
La protagonista Alice interpretata da Saxon Sharbino, vista nel remake di "Poltergeist" e nella serie tv "Touch" nei panni di Amelia Robbins

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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