Alì ha gli occhi azzurri, Claudio Giovannesi: 'La multiculturalità è arricchimento sociale, ma in Italia...'
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Alì ha gli occhi azzurri, Claudio Giovannesi: 'La multiculturalità è arricchimento sociale, ma in Italia...'

Intervista al giovane regista in concorso al Festival del Film di Roma. Dopo Fratelli d'Italia, ci offre un nuovo spaccato sull'emigrazione e sulle seconde generazioni. "Ma nelle istituzioni nostrane non c'è niente di forte nell'includere questa realtà"

Nel 2009 ha presentato al Festival Internazionale del Film di RomaFratelli d'Italia, documentario sull'emigrazione in Italia che ruotava attorno a tre adolescenti di origini straniere ad Ostia, periferia di Roma, Alin, Masha e Nader. Ora Claudio Giovannesi, regista romano classe 1978, riprende la storia di Nader e ne fa fiction, che debutta ancora una volta a Roma, in concorso alla kermesse capitolina che oggi si apre . Il nuovo film si chiama Alì ha gli occhi azzurri e il 10 novembre debutterà all'Auditorium Parco della Musica, per poi arrivare in sala in cinquanta copie, distribuite da Bim, il 15 novembre.

Nader Sarhan è ancora Nader, un Nader che tanto gli assomiglia (anche i suoi genitori recitano nella pellicola nei panni di se stessi) ma che, se si ispira a molte sue effettive problematiche, è comunque frutto di un copione scritto, realizzato dallo stesso Giovannesi insieme a Filippo Gravino. Siamo ancora a Ostia, il lungomare di Roma, in inverno. Due ragazzi di sedici anni, alle otto del mattino, rubano un motorino, fanno una rapina, e alle nove entrano a scuola. Sono Nader e Stefano (Stefano Rabatti), uno è egiziano ma è nato a Roma, l’altro è italiano ed è il suo migliore amico. Anche Brigitte (Brigitte Apruzzesi), la fidanzata di Nader, è italiana, ma proprio per questo i genitori del ragazzo sono contrari al loro amore. Nader allora scappa di casa. Ecco il racconto di una settimana della vita di un adolescente che prova a disubbidire ai valori della propria famiglia, in bilico tra l’essere arabo o italiano, pronto a sopportare il freddo, la solitudine, la strada, la fame e la paura, tentando di conoscere la propria identità.

Incontriamo Claudio Giovannesi prima del suo debutto romano.

Con Alì ha gli occhi azzurri riprende le vicende di Nader, uno dei tre protagonisti di Fratelli d'Italia. Come mai ha deciso di approfondire proprio quella storia?
"Per due motivi. Perché Nader, tra i tre episodi, era l'unico definibile di seconda generazione, italiano a tutti gli effetti: mi interessava lavoare più che sul tema dell'emigrazione su quello dell'adolescenza. In secondo luogo in lui avevo visto grande capacità di rimanere vitale e spontaneo davanti alla camera, sentivo che potevo affidargli un ruolo da protagonista".

Alì ha gli occhi azzurri è film di finzione, ma tante sono le tematiche in comune con l'episodio del doc Fratelli d'Italia. In questo suo nuovo film qual è il confine tra fiction e documentario?
"Il confine è sempre labile nel mio modo di lavorare. Nader scappa di casa perché ha la fidanzata italiana che non è accettata dalla sua famiglia araba, e questo è vero, la ragazza del film è la stessa della vita reale di Nader. Anche la giovane criminalità di strada raccontata è presa dalla realtà della cronaca. Nader in discoteca dà una coltellata, il ragazzo coinvolto si rivela rumeno e ne nasce una guerra con la sua banda: prendiamo informazioni dalla realtà e ricostruiamo le scene. Alle spalle c'è un lavoro di documentazione".

Il titolo del film riprende un verso di Pier Paolo Pasolini e anche il titolo della sua raccolta Alì dagli occhi azzurri.
"Sì, più che altro la sua Profezia che dedicò a Jean-Paul Sartre. Nel '62 prefigurava già la società multiculturale di oggi, anche se lui gli dava valore rivoluzionario. Inoltre mi ha colpito la piccola coincidenza che Nader abbia l'abitudine di mettersi lenti colorate azzurre".

Protagonista del film è anche Ostia: riesce a descrivere la multietnicità più di Roma città?
"Roma non è multietnica, ad eccezione delle sue zone periferiche, dove le abitazioni costano meno e quindi si affollano di stranieri. Ostia invece ha un tessuto sociale altamente variegato".

Nader spera in un futuro da attore?
"Vorrebbe continuare a recitare, sì, e ha anche molto talento. Le emozioni le porta molto bene addosso, nel viso, nel corpo...".

Dopo Fratelli d'Italia torna nuovamente al Festival del Film di Roma: ormai il Festival capitolino è il suo portafortuna?
"Sono molto contento di tornare, un po' anche perché il mio è un film romano. Poi con la nuova gestione di Muller è un po' come se fosse un nuovo Festilval, un'incognita. È bello ritrovarmi in concorso con autori importanti".

Com'è vissuta secondo lei la multiculturalità in Italia?
"Rispetto al resto d'Europa, per non parlare dell'America, sento che in Italia siamo molto indietro. Ancora lo straniero è percepito come un extracomunitario, qualcosa di lontano, e nelle istituzioni non c'è niente di forte nell'includere questa realtà sociale. Gli stranieri sono quelli che vendono rose, non sono integrati negli uffici, nelle amministrazioni, nella classe dirigente: così sì che ci sarebbe un arricchimento della società".

Lei è un giovane regista. Spesso i giovani faticano a inserirsi nel mondo artistico-lavorativo. Per lei è stato così?
"Sì, e poi in Italia si è giovani fino a 40-45 anni. Abbiamo bisogno di una nuova legge sul cinema, simile a quella che esiste in Francia dove viene applicato un prelievo dai biglietti venduti e il cinema così si autoalimenta. Da noi il cinema non è aiutato, dipendiamo ancora dal FUS (Fondo unico per lo spettacolo) e la possibilità di produrre film è molto ridotta".

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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