Il poker, il whisky, il sonno. Insomma, le cose che mi mancano

Ci sono cose che mi mancano terribilmente. Dormire fino alle undici del mattino, mentre tutti vanno a messa, leggere qualche pagina di un libro, riprendere a sonnecchiare fino all’ora di pranzo

Ci sono cose che mi mancano terribilmente. Dormire fino alle undici del mattino, mentre tutti vanno a messa, leggere qualche pagina di un libro, riprendere a sonnecchiare fino all’ora di pranzo, quando, pigramente, ti preparerai un uovo all’occhio di bue con un po’ di pancetta. E poi ridormire. Oppure giocare a poker fino a notte inoltrata, con l’odore di cenere nelle narici, la bottiglia di whisky sul tavolo, sapendo che il giorno dopo, male che vada, ti sveglierai con un mal di testa che provvederai a curarti oscillando tra letto e divano. O, ancora, quanto mi mancano quelle serate a parlare della Diaz, di Celine o di quanto sono lunghe le gambe delle donne senza guardare mai l’orologio?

Queste cose, mi dico per farmi forza, non torneranno più. I figli ti rubano il tempo e ti sottraggono un pezzo di immaginazione, anche solo la libertà di sognare un futuro diverso da quello da impiegati dell’informazione ed estensori di notizie inutili cui gli editori, tutti gli editori, ci hanno piegati. C’è bisogno di soldi, mi dico, per tirar su una famiglia. Mica si può mollare tutto.

Si diventa vecchi. E loro, Leon e Matilda, crescono, con una rapidità che è lo specchio della rapidità della tua necrosi. Poi mi guardo in giro. E vedo quegli amici che, queste cose, possono ancora farle, o potrebbero. Dormire otto ore per notte. Non guardare l’orologio. Sognare senza dover sognare in tre o in quattro. Bello, bellissimo, ma non li invidio. La mia vita, questa vita, è la miglior vita che un uomo possa desiderare. I figli, credessi, sono doni di Dio. O comunque sono la cosa migliore che ti possa capitare. Che mi invidino, per una volta gli altri, quelli che ancora possono dormire sette ore per notte.

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Paolo Papi