Solo una partita

Il 15 gennaio, martedì prossimo, si giocherà a Milano Inter-Bologna, quarto di finale di Coppa Italia. La poca importanza della competizione, e il fatto evidente che il regolamento sembra pensato apposta per scoraggiare qualsiasi interesse (potrei argomentare questa affermazione; ma …Leggi tutto

Il 15 gennaio, martedì prossimo, si giocherà a Milano Inter-Bologna, quarto di finale di Coppa Italia. La poca importanza della competizione, e il fatto evidente che il regolamento sembra pensato apposta per scoraggiare qualsiasi interesse (potrei argomentare questa affermazione; ma non siamo qui per parlare di pallone), lasciano prevedere che della partita non si parlerà se non come un fastidio in più in mezzo al campionato; e che essa sarà seguita soltanto da qualche migliaio di vagabondi che un martedì sera di gennaio non hanno di meglio da fare che godersi all’aperto il clima meneghino.

Esiste però la possibilità che il match assuma un significato particolare: gira infatti – che io sappia redatto dall’associazione “W il Calcio” di Bologna – un appello alle due squadre affinché dedichino l’incontro a Árpád Weisz, negli anni Venti e Trenta allenatore sia dell’Internazionale sia del Bologna. Alla guida dei nerazzuri egli vinse (trentaquattrenne; primato tutt’ora imbattuto) il campionato 1929-’30; col Bologna conquistò poi altri due scudetti, oltre a trionfare in Europa nelle prime, pionieristiche coppe continentali. Già a quarant’anni poteva considerarsi un maestro e dare alle stampe un apprezzato manuale.

Ma la sua non è la biografia di un vincente: Weisz, per quanto famoso e carico di gloria, restava un ebreo ungherese nell’Europa fascista. Le leggi razziali lo costrinsero dunque ad abbandonare il Bologna che tremare il mondo fa per una panchina in Olanda nel modesto Dordrecht; lì, tuttavia, lo raggiunse l’invasione tedesca. Árpád Weisz, il mago che aveva cominciato a vincere da giovanissimo, quello che dava lezioni anche ai maestri inglesi, fu ucciso ad Auschwitz. Con lui morirono la moglie Elena (Ilona) Rechnitzer e i figli Roberto e Clara.

Ciò che è più tremendo è che per molti decenni Árpád Weisz fu semplicemente dimenticato, nonostante i suoi trionfi, nonostante la sua rilevanza in un mondo popolare come quello del calcio. Solo nel 2007 un libro faticoso e coraggioso del giornalista bolognese Matteo Marani riportò alla luce la sua vicenda; adesso due targhe ricordano l’allenatore negli stadi di Bologna e Milano. Ma c’è poco altro, e il libro di Marani è già introvabile.

Una partita di Coppa Italia, giocata nel gelo e senza spettatori, non cambierà le cose. Ma questo è pur sempre il mese della memoria; e spesso, d’altronde, sono più significative e “utili” le note a margine, le riflessioni che sbucano da un pensiero laterale, piuttosto che le commemorazioni tanto ingessate quanto forzate. Ed è sempre necessario ricordare che la Storia non è una lontana disciplina chiusa nei libroni, ma è ciò che ci circonda; e anche il dolore, il terrore, la persecuzione riguardano tutti e stanno nell’aria che respiriamo, anche quando guardiamo una partita di pallone, anche quando siamo giovani e vincenti.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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