Scene da un matrimonio

In questo periodo è interessante, almeno per chi vive in Romagna, leggere i quotidiani locali. Succede infatti che, per effetto del controverso e criticabilissimo piano di riforma delle province, si rende necessaria la fusione delle tre province attuali in una …Leggi tutto

In questo periodo è interessante, almeno per chi vive in Romagna, leggere i quotidiani locali. Succede infatti che, per effetto del controverso e criticabilissimo piano di riforma delle province, si rende necessaria la fusione delle tre province attuali in una sola istituzione.

Ora, ci sono delle difficoltà oggettive: le tre città-capoluogo sono di dimensioni simili, né esiste una prevalenza storica indubbia e continuata di una delle tre. Tutte hanno buone argomentazioni a proprio favore: Ravenna è la città più grande e certamente vanta crediti storici e di prestigio; Rimini è la più nota, la più frequentata, anche la più abituata a trattare e contrattare (e la cosa, in politica, ha il suo valore); Forlì, per le ben conosciute vicende storiche, è la città più monumentale e razionale, una vera capitale europea di stile novecentesco, oltre a possedere il territorio più rappresentativo della Romagna nel suo complesso e nelle sue non trascurabili sfaccettature. Queste ed altre valide argomentazioni sono state dunque utilizzate largamente dai politici, dai giornalisti, da chi scrive ai quotidiani e in generale dagli alfieri delle parti in causa; da qualche giorno, tuttavia, vado notando un’escalation.

In particolare, sono i riminesi a paventare un patto contro di loro e reclamare a gran voce il mantenimento di Prefettura e Questura, in quanto la Riviera si riempe di turisti e c’è bisogno di coordinamento e di repressione (mentre gli altri due posti, si fa capire, sono agglomerati sonnacchiosi percorsi da vecchiette in bicicletta). Una missiva affermava addirittura che Rimini, gelosa della propria recente indipendenza, mai si rassegnerebbe a tornare sotto un altro dominio, per quanto simbolico e burocratico. Da Ravenna, un consigliere comunale replicava – assai sobriamente – definendo la propria città come l’unica a esser stata “capitale di un Impero”.

Da italiano, io – pur comprendendone le ragioni e le dinamiche; sono pur sempre uno storico – deploro, tutto sommato, questo spreco di energie , questo accapigliarsi da capponi manzoniani che non facilita certo un processo inevitabile e che anzi pone le basi di future gelosie, le quali rischiano di minare fin d’ora le basi della convivenza. E penso che tutto questo sia molto tipico della nostra nazione, al di là dei confini regionali e provinciali.

Da marchigiano spero invece che questo casino si incancrenisca e che ci restituiscano la Valmarecchia.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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