Potëmkin, o il romanzo dell'uomo faber
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Potëmkin, o il romanzo dell'uomo faber

Una delle cose che si ricorda meno quando si parla di Europa orientale, e che invece bisognerebbe sempre tenere a mente, è che i tempi, di là, non coincidono con i nostri. Quando nasce Grigorij Aleksandrovič Potëmkin, nell'Impero russo c'è ancora molto da fare (anzi, a dire il vero manca ancora gran parte di quello che sarà poi l'Impero russo al suo apogeo). Diciamo anzi che le cose da mettere a posto sono molte. Si sa, ad esempio, che Potëmkin nacque a Smolensk nel 1739; ma non si sa quando nacque, se a fine settembre o in ottobre, e dunque se - in termini moderni e gregoriani - abbia visto la luce in pieno ottobre o a fine mese. All'epoca in Russia, come sapete, andava così; io, per dirne una, e non per parlare di me, sono nato il 7 novembre, che è il giorno della Rivoluzione d'ottobre.

Ma torniamo a Potëmkin. Figlio della piccola nobiltà russa che donava i propri figli allo stato, quella dei romanzi che però verranno scritti solo il secolo dopo, come nei romanzi spreca il proprio talento per il greco e la teologia nel vizio e nel gioco e si fa espellere dall'Università di Mosca (anch'essa appena creata). Finisce allora nella Guardia, come nei romanzi: è un ottimo soldato, ma è anche un soldato povero e pieno di debiti, uno che non farà carriera.

Qui, incredibilmente, il romanzo russo scritto da severi e pessimisti omaccioni con la barba diventa la novella inglese scritta da una leggiadra fanciulla in scomode gonnelle. Grigorij Aleksandrovič si trova con il suo reggimento a una rivista da parte della moglie dell'Imperatore, la tedesca Caterina: a lei mancano le piume per il vezzoso cappellino con cui vuole andare ad assaltare il trono del marito, lui - incredibilmente, giacché le forze armate russe non hanno in dotazione accessori da donna - le trova e gliele dona. I due si guardano, il colpo di stato riesce (non c'è necessariamente nesso logico fra i due fatti), Grigorij Aleksandrovič diviene cortigiano, consigliere, cicisbeo dell'imperatrice; per diventarne l'amante deve prima combattere da eroe una guerra contro i turchi nel Sud, su quelle sponde del Mar Nero che saranno la sua casa e il suo regno nei successivi vent'anni.

Questo accade fra 1768 e 1774. Al ritorno a San Pietroburgo, le imprese gli valgono non solo il cuore, l'anima e il cervello di Caterina la Grande (ché il legame fra i due fu forte, appassionato e di stima e resse alla stanchezza del tempo e alla volubilità dell'imperatrice), ma anche il grado di generale e la nomina a governatore della Nuova Russia (cioè delle terre appena conquistate ai turchi).

Fra 1774 e 1787, in quell'Impero in cui c'era ancora molto da fare, Potëmkin fa. Prima di tutto fa il marito - forse di fatto, forse anche di diritto - di Caterina; poi fa il diplomatico, e gioca l'Austria contro la Prussia e la Francia contro la Gran Bretagna, ottenendo per la Russia lo spazio di manovra che servirà a continuare la marcia verso i mari caldi; fa il costruttore, fondando Sebastopoli, Sinferopoli e Dnepropetrovsk e riempendo di coloni presi in giro per l'Europa le terre che la guerra e le razzie dei turchi avevano svuotato; nel 1783 fa il furbo, approfittando di una guerra civile interna a ciò che resta del khanato tartaro per prendere la Crimea senza colpo ferire; infine, a inizio 1787, fa anche il cialtrone e l'illusionista, donando all'Imperatrice un bellissimo viaggio nella Nuova Russia, non privo di qualche curiosità esotica, come un battaglione di amazzoni greche da passare in rivista.

In quello stesso 1787 Grigorij Aleksandrovič, ora principe Potëmkin, deve smettere di fare e ricominciare a distruggere; i turchi, imprudentemente, muovono guerra all'impero zarista e vengono distrutti dalla superiore capacità del namestnik (viceré) di tutto il Sud. Solo le invidie austriache e inglesi e un attacco nel Baltico da parte degli svedesi impediscono alla Russia di spazzare tutti i Balcani orientali dalla potenza ottomana. La pace viene firmata nel 1792; Potëmkin, appena cinquantaduenne e in procinto di proiettarsi sulla Polonia che sta per venire di nuovo spartita fra i suoi vicini e che avrebbe avuto bisogno di un governante forte e di un riformatore attivo, muore l'anno prima di febbre e fatica nella città romena di Iași. Viene seppellito a Cherson, un'altra delle città che ha costruito. Caterina lo piange, così come la Russia; muoiono con lui, per quasi un secolo, tutte le capacità della Terza Roma, cioè Mosca, di continuare la marcia verso la Seconda Roma (Costantinopoli) e di fare dell'Impero non una presenza possente e minacciosa ai margini dell'Europa, ma un protagonista politico del continente e un continuatore della sua storia e civiltà.

L'uomo di Smolensk, arrivato quando al Sud c'era tutto da fare, lascia enormi testimonianze di sé in quella striscia - di capitale importanza per l'Impero - che va da Donetsk a Odessa: prendono nome da lui i nuovissimi villaggi dalle facciate tanto belle quanto finte che (ma forse è una leggenda) vennero mostrati a Caterina durante il suo viaggio; una corazzata che avrà un certo ruolo nella rivoluzione russa del 1905 e nel cinema mondiale; e la scalinata di Odessa, costruita da un italiano, su cui scivolano le ruote delle carrozzine, la prospettiva, e anche troppo sangue umano.

A pensarci, sembrano tutto sommato omaggi non bellissimi, perché parlano più di finzione e distruzione che di effettiva fattura, e non rendono giustizia al costruttore Potëmkin. Ma è anche vero, tutto sommato, che quell'incapacità di mantenersi e crescere, senza dissanguarsi periodicamente, sembra essere un tratto distintivo di quelle terre prese con la guerra e alla guerra troppo avvezze.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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