Le religioni degli altri e noi che fummo orientali
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Le religioni degli altri e noi che fummo orientali

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- Non esiste quasi nessuna religione orientale, - diceva Berlioz, - in cui una vergine immacolata non metta al mondo un Dio. Creando il loro Gesù, che non è mai esistito, i cristiani non hanno dunque inventato niente di nuovo.

Michail Afanes'evič Bulgakov, "Il Maestro e Margherita".

In fondo quasi tutte le religioni, da noi in Occidente, sono orientali. Un po’ perché, essendo noi Occidente, le cose ci vengono quasi per forza da quel lato lì; e molto perché, sarà per via dell’alba e di tutta la luce che proviene di là, ci viene naturale associare all’Oriente misticismo e salvezza.

Questo vale per gli occidentali di oggi - o forse un pochino più di ieri, di uno ieri vicino ma più sazio e spensierato - persi dietro ai più scrausi santoni del subcontinente indiano e al buddhismo nelle sue versioni più farlocche; ma vale anche per gli occidentali di ieri, quei romani altrettanto sazi e spensierati che accoglievano con la curiosità già annoiata dei dominatori non solo la superiore cultura greca, ma anche il Dio Sole dei siriaci, l’Iside egizia e il Mitra dei persiani, per citare solo i culti più noti e diffusi.
In fondo, i due fenomeni si somigliano. In entrambi i casi europei gonfi di gloria si rivolgevano al mondo orientale, di cui in sostanza erano i padroni, perché li rifornisse di quella spiritualità, di quel mistero, di quel brivido esotico che, per forza di cose o per poca voglia, non potevano più trovare in sé e nei propri riti tradizionali; ma preferivano che quell’Oriente che riportavano a casa fosse un orientuccio rassicurante e vicino, addomesticato o del tutto occidentalizzato. Una new age, per gli occidentali del XX secolo; o una nova aetas, per quelli dei primissimi secoli dell’era cristiana. Non che essi sapessero di star vivendo l’era cristiana.
Ecco, ritornando alla storia antica, c’è una grossa eccezione a quel flusso da Oriente a Occidente che portava tutti i culti dell’Asia Minore e del Levante a Roma, mutati e accettati: e quell’eccezione si chiama Cristianesimo. Che non si integrò, non cambiò, non si fece romano (se non dopo aver reso Roma cristiana): attese, combatté, o rifiutò di combattere, vinse. Ma non volle negoziare. Ed è paradossale, perfino buffo, che chi oggi reclama la tutela della tradizione e l’integrazione dei nuovi arrivati non ricordi (in realtà è normale, perché religione e storia sono campi poco frequentati da questo genere di propagandisti) che la nostra tradizione si basa in primis sulla mancata integrazione di una religione orientale. Ma d'altra parte, che valore avrebbero una cultura e una tradizione che accettano, per quieto vivere o per qualsiasi altra ragione, di farsi paccottiglia? Buon Natale a tutti.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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