L’autunno nell’anima

A forza di viaggiare in treno, sempre la mattina presto quando la ragione è intontita e si pensa in maniera più lasca e creativa, mi è venuto in mente che sotto certi aspetti l’autunno è una scusa. Se fosse sempre …Leggi tutto

A forza di viaggiare in treno, sempre la mattina presto quando la ragione è intontita e si pensa in maniera più lasca e creativa, mi è venuto in mente che sotto certi aspetti l’autunno è una scusa. Se fosse sempre primavera o estate, o anche se durasse l’inverno vero, quello bianco e ghiacciato e perciò luminosissimo, si perderebbe non solo una parte necessaria dell’anno (però questo non è un problema personale di nessuno) ma anche tutto un lato dell’animo umano che invece va pur sempre esplorato.

Mi spiego. Può darsi tuttavia che quello che sto per dire valga solo per me, che ho un carattere poco portato all’introspezione e quasi per nulla mistico-indugiante; nel caso considerate tutto questo come non scritto.

Ad ogni modo, l’autunno è necessario in quanto le sue nebbie, i suoi profili indefiniti, le sue piogge ti obbligano ad assumere un contegno pensieroso e anche un po’ tristanzuolo; e fanno sì che uno si guardi dentro, magari sospirando. Già altri notava, d’altronde, come in una giornata uggiosa sia normale rivolgere la mente a un cimitero di campagna (ed io là). Sembra tristezza e depressione; invece è solo autunno. E tutti sappiamo quanto tutte le stagioni, quelle dell’anno così come quelle dell’animo, siano irrinunciabili, giacché ognuna svolge la propria benefica funzione.

Come la primavera era tradizionalmente la stagione delle pulizie di casa e del ritorno al lavoro nei campi, così l’autunno è dunque il tempo in cui si riassetta un inconscio trascurato da un po’ e ci si prepara ai grandi proclami interiori di ogni fine anno (cambierò in questo modo o in quest’altro; come se un uomo potesse cambiare).

Acquoso e fluido com’è, perciò, è difficile definire l’autunno con un solo aggettivo e una sola qualità. O magari tutto si riduce a una semplice sensazione: quella dolce e tenera tristezza, che speriamo non ci manchi mai, neanche nei momenti di gioia.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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