La leggenda del santo nuotatore, o Ancona levantina

L’ultima volta ho scritto che, nelle Marche, quello che c’è di orientale e levantino si manifesta poco. Beh, anche per il gusto di contraddirmi, devo rilevare che non è vero, o perlomeno c’è una grossa eccezione a questa regola, ed …Leggi tutto

L’ultima volta ho scritto che, nelle Marche, quello che c’è di orientale e levantino si manifesta poco. Beh, anche per il gusto di contraddirmi, devo rilevare che non è vero, o perlomeno c’è una grossa eccezione a questa regola, ed è la bella città di Ancona, capoluogo della regione Marche.

Gli anconetani, se uno li incontra in città, sono mediamente persone gradevolissime e cordiali; se invece sono in giro per lavoro o per qualche altro motivo, spesso mettono su una faccia stupita e irritata, quella faccia di quando non ti ricordi dove hai lasciato le chiavi della macchina. Da qui una certa fama, assolutamente immeritata, di persone difficili, chiuse e malmostose. Gli anconetani semplicemente non si spiegano perché dietro la loro città debba iniziare l’Italia, che anzi li ingloba, come se qualcuno li avesse spostati nottetempo dalla loro costa di competenza, che non può che essere quella balcanica. Non c’è nulla di vero e di sensato in questa sensazione, perché Ancona è una città tanto marchigiana quanto il resto della regione e perfettamente integrata nella stessa (e i momenti migliori della sua storia sono stati quelli in cui ha saputo fungere da porto e da ponte verso est per le Marche e per una bella fetta d’Italia), ma resta il fatto che questa identità esiste e la si avverte chiaramente in città, ovunque ti capiti di passare e con chiunque si parli.

E non è questione di lunghi rapporti e di familiarità con l’Oriente; è proprio la percezione e l’immagine di se stessi. Prendiamo Bari e Venezia, le altre città importanti dell’Adriatico italiano (Trieste non la considero perché ha un’altra geografia e un’altra storia): non sono certo da meno di Ancona quanto a legami con il Levante, eppure hanno saputo discernere meglio fra identità e funzione. L’Oriente l’hanno frequentato fruttuosamente per commercio e, almeno Venezia, per politica di potenza; ma l’Oriente è un’altra cosa.

Consideriamo i patroni delle tre città. San Marco e San Nicola hanno una storia per certi versi simile: i loro corpi furono recuperati in modo avventuroso, il primo addirittura infilato in una cesta piena di carne di maiale, il secondo scippato ai turchi che imperversavano per l’Anatolia dopo la battaglia di Manzikert.

San Ciriaco, invece, per diventare patrono di Ancona è dovuto arrivare in città da sé (impresa non facilissima per uno che era già cadavere da un po’): solo quando videro il sarcofago di pietra che galleggiava sulle onde i dorici si degnarono di trasportarlo a riva e di farne il protettore della città, su cui vigila dal colle già sede del tempio di Afrodite Euplea (quella, cioè, che garantiva ai marinai la buona navigazione).

E gli anconetani a volte si sentono come San Ciriaco: strappati alle loro rive orientali e trasportati verso l’Italia da un evento miracoloso, il quale, come tutti i miracoli, è comunque un qualcosa di profondamente contronatura. Però ormai sono qui, e ci stanno.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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