Il compleanno dell’amata

“Chi non rimpiange l’Urss non ha cuore; chi vuole rifarla così com’era non ha cervello”: la frase, variamente citata e costruita (in questo caso sono andato a memoria) è certamente fra le più note e celebrate fra quelle attribuite a …Leggi tutto

“Chi non rimpiange l’Urss non ha cuore; chi vuole rifarla così com’era non ha cervello”: la frase, variamente citata e costruita (in questo caso sono andato a memoria) è certamente fra le più note e celebrate fra quelle attribuite a Vladimir Putin, e una di quelle da cui traspare con maggiore immediatezza l’animo pragmatico e il sano buon senso dello statista pietroburghese. Con essa si vuole accreditare l’immagine di Putin come quella del buon russo, ragionevole (all’europea) ma di cuore dolce come è costume del suo popolo; un Putin che non cancella il passato comunista dalla sfera emotiva, ma che sa guardare avanti sul piano razionale e politico.

Da qualche anno il 7 novembre non è più festa nazionale in Russia. Il giorno in cui i proletari di tutto il mondo (la Russia è un po’ un mondo, no? Passatemela) si sollevarono davvero, cominciando da dove secondo Marx non avrebbero dovuto, è di nuovo una data come le altre. Con la cancellazione della festa è caduta anche una delle ultime sfilacciate cordicelle che legavano, appunto dal punto di vista emotivo (giacché ovviamente non c’erano altri vincoli effettivi), la Russia odierna al suo passato comunista e alle utopie di quel passato. Si continua a festeggiare in gran pompa, invece, la fine della grande Guerra patriottica, ossia la vittoria dell’Armata Rossa sulla Germania hitleriana nella seconda guerra mondiale.

In altre parole, la Russia di Putin ha messo da parte il vecchio, romantico 7 novembre, che non evoca più – ma da decenni – altro che speranze ardite e presto disilluse, e che non è nient’altro che un simbolo per gli arditi e i disillusi di tutti i tempi e i luoghi; mentre si appropria tranquillamente della vittoria di Stalin e dell’Urss, che consentì a un paese assediato di godere di qualche decennio di potenza e di pace nella sicurezza.

Sembra quasi, se uno ci pensa, che il furbetto Vladimir Vladimirovič – contro le sue stesse parole – guardi all’Urss con il cervello ben più che con il cuore; e che l’unica cosa che rimpiange siano lo status di superpotenza e il rispetto, venato di timore, che tale condizione comportava. A meno che Putin non sia uno di quegli innamorati silenziosi, troppo colmi di dignità per rivolgersi ancora alla donna che hanno perduto e che amano sempre, e che non coltivi perciò in silenzio la sua antica, bruciante passione; mentre intorno smorza ogni richiamo da parte di chiunque, e si comporta come se avesse dimenticato tutto.

A guardarlo in faccia, l’ipotesi sembra plausibile.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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