Di faggi, di roghi, di libri e di uomini

Alla fine, quattordici persone vennero caricate sui camion e spedite in direzione ignota. La famiglia Fournier vide partire il padre, il garzone di quindici anni e i due figli maggiori (…). Era la «mia» famiglia. Avrei dovuto conoscere Buchenwald con …Leggi tutto

Alla fine, quattordici persone vennero caricate sui camion e spedite in direzione ignota. La famiglia Fournier vide partire il padre, il garzone di quindici anni e i due figli maggiori (…). Era la «mia» famiglia. Avrei dovuto conoscere Buchenwald con loro. Questo nome non era ancora valutato come sinistro quando più tardi cominciò a circolare nel villaggio, e qualcuno venne a domandare a mia madre che aveva viaggiato in Germania se sapesse qualcosa di quella località. (…) Buchenwald? No, lei non ne sapeva nulla. Nessuna carta della Germania registrava il nome. Voleva dire Foresta di faggi. Non era rassicurante? I nostri deportati avrebbero fatto i boscaioli…

Michel Tournier, Allemagne, notre mère à tous…

 

Quando si dice di qualcuno “Ha buona memoria”, si intende, solitamente, che ricorda con precisione e chiarezza non soltanto e non tanto qualche singolo fatto personale, storico, o qualche data, ma che ricostruisce puntualmente un intero quadro. Prendiamo ad esempio i giochi come Kim o come – appunto – il Memory: vince, e ha più memoria, chi sa esattamente come stavano le cose all’inizio, prima dell’evento traumatico – le carte girate, il libro chiuso – che dà inizio alla sfida.

Penso dunque, in un certo senso, che si onorerebbe maggiormente e si darebbe compiutezza alla Giornata della Memoria se, oltre a ricordare – doverosamente, e con i modi e i toni appropriati – la Shoah, si desse anche spazio e peso a com’era il mondo prima di quella tragedia. Mi pare che si riconoscerebbe finalmente la dignità di milioni e milioni di morti se si riuscisse a far capire che ognuno di quei milioni era un universo – perché ogni essere umano è una storia a sé – e che quelle persone, prima di essere vittime, erano uomini, con delle famiglie, delle città e dei villaggi d’origine, delle appartenenze, delle storie complesse. Sembrerebbe ovvio, tutto questo, ma molto spesso non accade; se non altro perché la Seconda Guerra mondiale, e tutto quello che le è accaduto vicino, dentro e dopo, ha mutato non solo la Storia, ma perfino la geografia umana.

Da dove venivano tutti quegli ebrei? Da terre e paesaggi, veri e mentali, che nella maggior parte non esistono più. Le terre erano per la maggior parte quelle dell’Europa orientale (certo anche italiani, francesi, olandesi, ecc. finirono nelle camere a gas; ma le comunità israelitiche occidentali possedevano numeri assai più ridotti), dal Mar Nero al Baltico, ma il passaporto comune di quegli ebrei era la lingua tedesca, per i più colti, o l’yiddish, che ne è una corruzione, per le masse. Una serie di eventi storici, durati dal Medioevo all’Ottocento, aveva fatto sì che gli ebrei che vivevano – isolati e sempre più odiati – nell’infinita serie di shtetl esteuropei finissero per adottare un’identità linguistica e culturale germanofila. Anzi, non è eccessivo sostenere che, nell’Europa degli imperialismi e della seconda rivoluzione industriale, essere ebrei ed essere amici della Germania fosse un tutt’uno; basti pensare d’altronde al caso Dreyfus. In Oriente, invece, gli ebrei si facevano – o, più spesso, si sognavano tedeschi – per raggiungere una dignità che nella realtà polacca o rumena veniva loro negata. E il legame con la Germania lontana – o per meglio dire con il mondo germanico e germanofono – non poteva che essere la lingua tedesca. L’elenco parla da solo: l’ucraino-polacco (galiziano) Roth, il boemo Kafka, il rumeno Celan, il bulgaro Canetti… Persino Bambi, dell’ungherese Salten, è una novella di ambiente ebraico e germanofono, edita nel 1923; e, se uno ci pensa, è di una preveggenza tremenda.

Dobbiamo a Paul Celan la migliore illustrazione di quel mondo reale e insieme letterario. Parlando della sua terra d’origine, il poeta la definì Gegend, in der einmal Menschen und Bücher lebten (“una contrada in cui un tempo vivevano uomini e libri”). E la cosa diventa doppiamente significativa, e non ha bisogno di ulteriori commenti, quando vediamo che quel paesaggio magico, nel nord della Romania, si chiamava e si chiama Bucovina; ossia paese dei faggi, dal tedesco “die Buche”, che indica appunto quell’albero. Ma da “Buche” deriva anche “das Buch”, il libro, giacché gli antichi Germani erano soliti scrivere le proprie rozze lettere sulla corteccia di quegli alberi. Celan e i suoi correligionari esteuropei vivevano dunque fra i faggi, fra i libri, fra le lettere stesse dell’alfabeto tedesco, e lo sapevano bene. Ma lo sapevano anche i tedeschi.

Il primo atto della Shoah, allora, va ricercato nei roghi di libri sulle piazze delle città tedesche, anni prima della guerra; giacché con quell’atto il nazismo si distaccava dalla vecchia lingua e dalla vecchia cultura tedesca, inaugurando una follia in cui né le lettere né gli umani potevano avere posto. E il primo libro che parla di Olocausto è Auto da fé, scritto in tedesco nel 1935 dall’ebreo bulgaro Elias Canetti: la biblioteca che va in fiamme in quel capolavoro è una biblioteca viva e umana; chi lo ha letto non può che convenirne. Ridurre in cenere i libri o gli uomini era esattamente la stessa cosa; lo vedeva Canetti nel 1935, lo vedevano i vertici nazisti. Come poté non vederlo il popolo tedesco? Fu perché le fiamme, purtroppo, fanno male alla vista; non a caso, in tedesco, quel libro di Canetti si chiama Die Blendung, “l’accecamento”.

Più tardi le fiamme della follia e della guerra distrussero tutto. Ma se dobbiamo avere memoria, ed è giusto averne, ricordiamo ciò che è stato; ricordiamo i morti, ma ricordiamoli da vivi, nel loro paesaggio fatato di uomini e libri.

 

La sostanza grigia tedesca ha raggiunto un culmine ineguagliabile in quel sorprendente prodotto dei casi della Storia che è l’ebreo tedesco. Lascio ad altri l’incarico e il divertimento di discutere perché mai queste due componenti si siano sposate con tanta felicità (…). E gli lascio pure l’incarico e la tristezza di analizzare quel che doveva provocare il brutale e terribile divorzio tra le due componenti di cui sopra. Quel divorzio consumato per un’ondata di antisemitismo omicida è stato l’inizio della fine della Germania. La Germania, questa macchina per fabbricare i genii, è stata infranta dall’uomo con il ciuffo e i baffetti. Per i tedeschi la catastrofe è incalcolabile.

Michel Tournier, Allemagne, notre mère à tous…

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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