Carlo Magno e i Franchi zozzi, più altre considerazioni

Alla fine a me, personalmente, le cose noiose piacciono, perché sono rassicuranti. Questo è un po’ il motivo, o uno dei motivi, per cui tendo a non credere alla storia alternativa, così come a un sacco di versioni “rivoluzionarie” o …Leggi tutto

Alla fine a me, personalmente, le cose noiose piacciono, perché sono rassicuranti. Questo è un po’ il motivo, o uno dei motivi, per cui tendo a non credere alla storia alternativa, così come a un sacco di versioni “rivoluzionarie” o “nascoste” riguardo a un fracco di cose. Per pigrizia, appunto; e poi perché normalmente sono delle enormi, indecorose boiate.

Mi è capitato tuttavia ultimamente di venire a conoscenza di una teoria storica radicalmente alternativa e rivoluzionaria: essa sostiene che Aquisgrana, la capitale di Carlo Magno e del suo Sacro Romano Impero, non corrisponda affatto alla tedesca Aachen, ma che sia da ricercare invece nella valle del Chienti, fra le province di Fermo e Macerata. La particolarità di questa tesi è che essa è piuttosto convincente, a leggerla bene, o quantomeno molto affascinante.

Ma non siamo qui per decidere se Aquisgrana è qui o là, né per valutare – non ho le necessarie competenze – la credibilità di una simile tesi sull’Alto Medioevo. Mi piace invece, per amore di fantasticheria e comodità di riflessione, accettare che le cose siano davvero così; e riflettere dunque su quello che sarebbe successo se Aquisgrana, e con essa il centro del mondo imperiale e laico, fosse rimasta nel maceratese. Se, in un certo modo, Macerata avesse mantenuto la guida del mondo germanico, e si fosse eretta a centro dell’Europa nuova, dei barbari che si facevano cristiani e romani. Avremmo oggi, io credo:

a) Un’Italia assai meno clericale, nel senso più deteriore del termine; meno succube cioè di quella pesante eredità vaticana che avrebbe costituito solo uno dei due poteri presenti nel nostro paese;

b) Un’Europa assai più maceratese, in quanto Aquisgrana non avrebbe potuto a sua volta sottrarsi all’influenza del proprio territorio. In cosa sarebbe tuttavia consistito un Sacro Romano Impero sud-marchigiano, tuttavia, non so immaginarlo;

c) Un’evoluzione peculiare, in senso storico, culturale, ecc., dell’intero mondo eurogermanico, di cui Carlo Magno fu primo e per certi versi massimo rappresentante. Le tesi della Riforma sarebbero forse state affisse a San Severino, per esempio, e la ribellione contadina avrebbe bruciato le valli sassose dell’Appennino umbro-marchigiano; forse, aggiungo, la Kulturkampf si sarebbe espressa in una lotta fra Roma e Camerino, e chissà cosa sarebbe successo alla psicanalisi;

d) Romanzi di ambiente mitteleuropeo traslati, di conseguenza, dalle nostre parti, e questo – se ci pensate – è bello;

e) Una molto maggiore necessità di dialogo e di compromesso fra i due poteri originari e le loro lontane e lontanissime discendenze, e forse, da ciò, una capacità di sintesi pacifica che a questo continente è sovente mancata;

f) Infine, e forse soprattutto, un’Europa del Nord sulle rive dell’Adriatico, portata a considerare che il Mediterraneo è un mare piccolo e vicino, e che l’Oriente – pur sospettoso e di cui sospettare – è un luogo frequentabile e familiare.

Detto questo, tocca riscuotersi e tornare alla serietà e alla realtà: le cose sono andate infatti, come noto, assai diversamente. Domando scusa perciò ai lettori, fin troppo pazienti verso questi voli pindarici, e al Santo patrono del mio paese, un vescovo gallo-franco che chissà com’è arrivato nelle Marche centrali.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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