A proposito di assalti al cielo

Ho atteso un po’ prima di scrivere su questa questione: e per “questa questione” intendo quella delle Pussy Riot e della loro condanna, che molto ha fatto vibrare di sdegno e di solidarietà parecchie persone in Italia e in Occidente. …Leggi tutto

Ho atteso un po’ prima di scrivere su questa questione: e per “questa questione” intendo quella delle Pussy Riot e della loro condanna, che molto ha fatto vibrare di sdegno e di solidarietà parecchie persone in Italia e in Occidente. Ho atteso perché credo che, in una vicenda fatta soprattutto di visibilità ed esposizione, sia illuminante il buio e l’oblio.

Chiariamo subito le cose: protestare contro Putin, contro i siloviki (ossia il blocco di potere al comando della Russia da una dozzina d’anni), contro il patto fra potere clericale e potere politico, che in un certo modo caratterizza il Paese negli ultimi anni, è legittimo e sacrosanto; farlo secondo modalità diverse, particolari, è proprio di un collettivo artistico, quale sono le Pussy Riot (più che un gruppo punk, come s’è detto). Ma parliamo della forma della protesta: non mi interessa il vilipendio della religione, ché quello spetta ai giudici e alle leggi. Mi interessa però il fatto artistico, e dunque quello sociale: qual è il senso di una parodia di preghiera? Qual è il senso di una dissacrazione così ostentata?

Temo che si tratti di un gesto facile o fuori tempo massimo. La Russia pseudo-imperiale di Putin non è la Russa imperiale degli zar; la Chiesa ortodossa pseudo-trionfante non è quella dello zar Nicola I e della sua triade di pensiero, e di governo, ortodossia-nazionalità-autocrazia. Che funzionava e dominava, però, prima di settantacinque anni di comunismo e venti di capitalismo. Quella della predica in chiesa (non una chiesa qualunque, peraltro, ma la ricostruita Cattedrale di Cristo Salvatore) è certamente un’idea d’effetto e di sicura presa, nell’attuale clima culturale, ma è anche evidentemente superficiale e dà l’idea della ricerca di uno scandaletto all’occidentale, una scemata in cui possano ritrovarsi, per dire due stereotipi ambulanti, Madonna e le “femministe” ucraine seminude. E tutto questo stona con l’intelligenza e la lucidità, peraltro saldamente russe nell’argomentazione e nelle citazioni, che le imputate hanno dimostrato nelle proprie arringhe di autodifesa, non indegne di un processo ottocentesco a qualche gruppo nichilista; uno di quelli da romanzo dostojeschiano, insomma.

Ma c’è dell’altro: l’attacco alla Chiesa, ipermoderno per la sua teatralità, lo è anche per la scelta del nemico. Che può essere o è un amico di Putin e del potere percepito come corrotto e ostile, certamente, ma che altrettanto certamente è una forma tradizionale (e nel caso della Russia anche strettamente nazionale), una di quelle appartenenze collettive che la modernità capitalista tende ad assaltare e a sfilacciare. A meno che non si tratti di una falsa parentela fra individualismo capitalista e protestante e individualismo “russo”, nichilista; ma l’impressione è che no.

Qui, di nuovo, si arriva al vecchio e già visto bivio fra una certa libertà e una certa indipendenza, e non ho ricette da fornire a nessuno. La cautela e l’equilibrio nei giudizi, tuttavia, credo siano un buon punto di partenza per ogni dibattito. Anche quando le emozioni e le chiacchiere sembrano tutte indicare un solo, facile colpevole e una sola, facile realtà.

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Tommaso Giancarli

Nato nel 1980, originario di Arcevia, nelle Marche, ho studiato Scienze  Politiche e Storia dell'Europa a Roma. Mi sono occupato di Adriatico e  Balcani nell'età moderna. Storia e scrittura costituiscono le mie  passioni e le mie costanti: sono autore di "Storie al margine. Il XVII  secolo tra l'Adriatico e i Balcani" (Roma, 2009). Attualmente sono di  passaggio in Romagna.

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