Nel nome del falso

In quell’eterno ritorno dell’identico che è la cronaca dal mondo, le vicende relative alle violenze che percorrono in questi giorni il mondo islamico in reazione al film Innocence of the Muslims ne ricordano altre, altrettanto drammatiche, attraverso le quali siamo …Leggi tutto

In quell’eterno ritorno dell’identico che è la cronaca dal mondo, le vicende relative alle violenze che percorrono in questi giorni il mondo islamico in reazione al film Innocence of the Muslims ne ricordano altre, altrettanto drammatiche, attraverso le quali siamo già passati. A questo giro, per aggiungere un grado di surrealtà del quale francamente non si sentiva il bisogno, c’è un film che, forse, nemmeno esiste e che, forse, non ha quel titolo, girato non si capisce da chi – ma di questo fantasma abbiamo le dichiarazioni al Wall Street Journal – e con i soldi di chi: ebrei statunitensi? Israeliani? Fondamentalisti cristiani? Egiziani copti? Resta pure il sospetto che il film, reale o virtuale che sia, e le questioni religiose c’entrino poco o nulla e che tutto ciò che s’è scatenato fosse preparato da tempo, con altre cause e moventi.

Se non fosse una questione grave ci sarebbe da riderne e da scriverne un saggio sulla postmodernità che farebbe impallidire Lyotard. Ma la questione è grave, purtroppo, e se forse il film è un “falso”, benché un “falso” creato ad arte, violenze e morti sono veri.

Quanto detto potrebbe anche bastare a liquidare come insussistente una caratterizzazione religiosa di quel che sta accadendo. Però capita che, da qualche giorno, in quel divertente ed esasperante contenitore di insensatezze – pure esse postmoderne – che è il web, s’è scatenata, tra le altre, una bella gara a riproporre, come commento dei fatti libici, yemeniti ed egiziani, l’idea che la religione sia fonte e sentina di tutti i mali e di tutte le violenze e che il conflitto in atto sia quello tra il laico culto della libertà d’espressione e l’oscurantismo religioso che – sempre e comunque – intenderebbe soffocarla.

Per dire: non so se ricordate Amico Intelligentemente Scemo. Ecco, da un paio di giorni s’è fatto spacciatore, su Twitter e social network assortiti, di link che puntano sostanzialmente in questa direzione, il cui vertice (in molti sensi: per lui, certamente, anche in senso affettivo) è stato la menzione di questo celebre discorso di Christopher Hitchens sulla libertà di espressione, con esplicito riferimento al passaggio “I am absolutely convinced that the main source of hatred in the world is religion, and organized religion” e a quel che segue (nel filmato trovate questa parte dal minuto 12:18).

Sia chiaro: è evidente che c’è una parte di quel che possiamo raccogliere sotto l’etichetta “religione” che risulta, a ogni persona dotata di buonsenso, incompatibile con una convivenza civile. Tuttavia, la sensazione che provo sempre di fronte a questo genere di intemerate generiche e che buttano tutto dentro un unico calderone senza alcun esprit de finesse e senza la capacità che ne dovrebbe derivare di elaborare distinzioni, analisi, giudizi meno universali (e quindi insostenibili alla luce del medesimo buonsenso) è la stessa che deriva dalle cosiddette self-fulfilling prophecies, le profezie che si autoavverano. È come se i fanatici religiosi potenzialmente (o effettivamente) assassini e i loro critici radicali – ma qui torno a pensare più a chi ha girato quel “film” che ad Hitchens o al mio amico – si costruissero a vicenda, per così dire, bisognosi gli uni degli altri, impastati in un’unica cecità che finisce per fomentare odio. E di conseguenza, ovviamente, la controparte ci casca con tutte le scarpe perché è contentissima di cascarci, perché “cascarci” è la sua ragion d’essere senza la quale nemmeno saprebbe chi è.

C’è una bella differenza tra tutto ciò e quel che invece per miliardi di persone in tutto il mondo rappresenta l’esperienza religiosa. Ciò vale, ovviamente e simmetricamente, anche per quanto concerne l’esperienza della critica alla religione. Per ogni fanatico violento o in malafede in un campo o nell’altro ci sono migliaia di persone che semmai discutono e dibattono interpellando l’altrui libertà, anche partendo da modi di vivere la propria fede (o mancanza di fede) integrali, netti, rigorosi e totalizzanti. Affermarlo è quasi banale. Ma ogni tanto fa bene ricordarlo.

Un’ultima considerazione: il motivo principale per cui detesto i fanatici che stanno mettendo a ferro e fuoco alcune città arabe in questi giorni è che sono dei criminali assassini. Ci sono, però, anche un paio di motivi secondari.

Il primo riguarda il fatto che, così facendo, devastando, uccidendo e massacrando nel nome di Dio, insultano me e la mia religiosità e tutti coloro che in Dio credono pur non concependo neanche lontanamente di poter ferire o far soffrire volontariamente il loro prossimo. La reazione di ogni credente di fronte ad atti del genere dovrebbe essere – e spesso è in effetti – quella di gridare: “Sceglietevi un’altra scusa per sfogare le vostre violenze inaccettabili. Lasciate Dio e la religione fuori dai vostri giochi sporchi. Non chi vi provoca, ma voi siete gli autentici bestemmiatori del Dio che dite di adorare.”

Il secondo invece ha a che fare col mio essere, oltre che una persona religiosa, una persona libera, ragionevole e dotata di spirito critico: è ovvio che, posta così la questione dello scontro tra gli opposti integralismi, diventa impossibile non difendere il diritto alla libertà di espressione anche quando ciò genera blasfemia. Su questo non posso che stare con Hitchens e con Amico Intelligentemente Scemo. Il rischio che la libertà d’espressione venga usata male è il prezzo da pagare perché quella libertà possa dare i suoi frutti migliori e possa generare conoscenze e pensieri sempre più raffinati e liberi. Vale la pena di ricordare che, nel discorso sopra menzionato e linkato, Hitchens – certo non sospettabile di simpatie per Hitler – difese David Irving, lo storico inglese antisemita negazionista della Shoa, all’epoca rinchiuso in una galera austriaca con l’accusa di “aver glorificato ed essersi identificato con il partito nazista tedesco” (come dire: a prendere le difese del Mahatma Gandhi son buoni tutti). La linea radicale e, per quel che mi riguarda, condivisibile di Hitchens è che le idee si combattono con le idee, l’uso distorto della libertà con la libertà di critica. È un’idea cardine della nostra civiltà, anche se – come tutte le ottime idee – imperfettamente realizzata. Insomma: nel momento in cui il dibattito tra idee diventa uno scontro tra fanatismi ciechi, tra provocazioni stolide e reazioni potenzialmente assassine, è chiaro che il principio della libertà di pensiero e di espressione diventa un confine irrinunciabile, una sorta di fort Alamo del nostro modo di vivere e pensare. Ma appunto: i fanatici religiosi che – forse – reagiscono con spari e omicidi a un film blasfemo su Maometto mi privano, in buona sostanza, della libertà di dire a gran voce che quel film, ammesso che esista, è una porcheria inimmaginabile, indegna da ogni punto di vista, giudizio critico spesso applicabile a questo genere di opere “provocatorie” (ricordate le famose vignette su Maometto pubblicate in Danimarca e Norvegia che generarono un precedente giro della medesima giostra? Ecco, ce ne fosse stata una arguta o anche solo vagamente spiritosa). E non posso se non detestare profondamente chiunque mi privi della libertà di dire a gran voce quel che penso.

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Marco Beccaria

Marco Beccaria è nato a Milano nel 1967. Sa fare passabilmente tre cose:  insegnare filosofia e storia al liceo, discutere oziosamente di massimi  sistemi e il master di Dungeons & Dragons. Meno bene riesce a  giocare a pallacanestro e ad andare in bicicletta, il che non gli  impedisce di trarre godimento da entrambe le attività. È sposato con  Raffaella e vive tra i colli piacentini e Milano.

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