Roma non muore mai

Quando c’era Walter Veltroni c’erano le star. Coi film più brutti delle loro carriere (ricordate Kidman che si faceva una pelliccia coi capelli di Downey Jr.?), ma che c’entra, una foto in prima pagina di un Grande Divo assicura poltrone e contratti ed …Leggi tutto

Quando c’era Walter Veltroni c’erano le star. Coi film più brutti delle loro carriere (ricordate Kidman che si faceva una pelliccia coi capelli di Downey Jr.?), ma che c’entra, una foto in prima pagina di un Grande Divo assicura poltrone e contratti ed appalti pure per l’anno successivo.
Quest’anno una delle star è invece Walter Veltroni medesimo, ché il film La scoperta dell’alba (tra gli italiani più attesi, ed è come dire tutto) è tratto da uno dei suoi sessantadue romanzi sulla memoria del nostro paese. Si risolve nel racconto involontario del bluff dei figli dei mortammazzati durante gli anni di piombo, ma che importa, almeno qualche titolo c’è stato, e poi mica si viene qui per vedere i film.

Che invece sono belli, perché il direttore Müller non sarà troppo simpatico ma il suo mestiere lo sa fare, e fa contenti i cinefili (o quel che ne resta, tipo me) coi suoi Larry Clark, e i P.J. Hogan tornati allo stato aborigeno, e la Donzelli, una roba assai brutta dopo quel capolavoro che era La guerra è dichiarata ma mica le neghi un festival. C’è pure un esperimento dell’immenso Verhoeven, gliel’ha scritto il pubblico mandando pezzi di copione sull’internèt, non sarà il futuro del cinema ma è certamente più interessante dei soliti auobiografismi nostrani.

Voleva solo film in prima mondiale, Müller, quindi il tappeto rosso è disertato. Bastava un Ben Affleck ben piazzato (il suo Argo, molto visto in patria, ha avuto un buon avvio anche da noi questo weekend), o un Mucchietto d’Ossa Knightley as Anna Karenina, che invece se l’è preso Torino, festival più cinefilo che popolare, ma a ‘sto giro le cose son cambiate. Jude Law è passato ma non da Roma Nord, si è fermato a Piazza del Popolo, forse per il flash-mob organizzato su Facebook dai ragazzini locali.

Il fatto è che quel che resta è solo Roma. Sui red carpet, nelle chiacchiere dei bar improvvisati per il festival (quelli dove mettono un solo barista per duecento persone, ma se glielo fai notare ti becchi un “anvedi che personaggio!”), negli incontri che tengono in piedi la fetta più grossa della nostra industria dello spettacolo, e che solo in mezzo a questi cinematografari si fanno, e giustamente anche. C’è Roma nei tanti film italiani che passano, ovvio che son prime mondiali, ma che, possiamo forse negare un passaggio a questo o a quell’altro? C’è Roma che parla di sé e nessun DiCaprio a scaldare le folle.

Il festival lo salverà, tra qualche giorno, Sylvester Stallone. Diretto però dal regista per cinefili duri e puri Walter Hill: Demolition Man l’han già passato troppe volte su Italia1.

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Mattia Carzaniga

Nato nel 1983, giornalista, scrive per varie testate. Ha pubblicato i  libri «L'amore ai tempi di Facebook» (Baldini Castoldi Dalai, 2009) e  «Facce da schiaffi» (Add Editore, 2011). Guarda molti film, passa troppo  tempo on line, ruba pezzi di storie alle persone che incontra.

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