L’ora di eutanasia (e se non è obituary questo)

L’ora di eutanasia (e se non è obituary questo)

L’ora di religione di Marco Bellocchio è il più grande film italiano degli ultimi vent’anni perché non diceva (sintetizzo) «Avere il crocifisso nelle aule scolastiche negli anni duemila è anacronistico, oltre che vagamente integralista». Lo diceva, sì, ma non in …Leggi tutto

L’ora di religione di Marco Bellocchio è il più grande film italiano degli ultimi vent’anni perché non diceva (sintetizzo) «Avere il crocifisso nelle aule scolastiche negli anni duemila è anacronistico, oltre che vagamente integralista». Lo diceva, sì, ma non in questo modo.
L’ora di eutanasia di Marco Bellocchio (ah no, si chiama Bella addormentata) non sarà il più grande film italiano dei prossimi vent’anni perché dice (sintetizzo) «Staccare la spina ai malati terminali o ai comatosi senza speranza è cosa buona e giusta».

Ed è buono e giusto dirlo, peccato che nel cinemaitagliàno oggi vada così: si prendono Rulli&Petraglia (o anche l’uno orfano dell’altro, come accade qui) e si chiede loro di costruire un canovaccio pseudonarrativo attorno a dei fondi di Repubblica. Con l’inserimento obbligatorio di una scena sullo stato della politica (pardon: della Casta), in questo caso ambientata in un improbabile bagno turco per senatori – ha fatto più danni Il Divo di Sorrentino…

Si discorre di Vita (Alba Rohrwacher miracolata da un colpo di fulmine all’autogrill con Michele Riondino che molla la veglia funebre per andare a fare all’ammòre) e di Morte (Maya Sansa tossica, aspirante suicida e con le braccia già ampiamente tagliuzzate che non vuole farsi salvare dal dottor Pier Giorgio Bellocchio); di Vita e di Morte che sono solo una recita o una lunga sessione di analisi, specie se la parte più altamente simbolica (nelle intenzioni: Grande Attrice che cerca la Fede ma si accorge di stare solo recitando) è affidata a quella gigiona di Isabelle Huppert.

Diranno che L’ora di eutanasia non è un film su Eluana Englaro. O che lo è nella misura in cui Quarto potere è un film su William Randolph Hearst. E invece questo è un film sul “caso Eluana” (che brutto dirlo), e infatti l’inizio con quegli strilli di telegiornale promette meglio di quanto sia poi – dal minuto 4 o 5, in realtà – mantenuto.
E niente, mi dispiace molto. Mi dispiace così tanto che ora vado a rivedermi il bistrattatissimo Hereafter. Sì, quello dove pure si parla di Vita e di Morte. Sì, quello di Clint Eastwood. Quel regista che la senilità la manifesta, al massimo, parlando con le sedie.

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Mattia Carzaniga

Nato nel 1983, giornalista, scrive per varie testate. Ha pubblicato i  libri «L'amore ai tempi di Facebook» (Baldini Castoldi Dalai, 2009) e  «Facce da schiaffi» (Add Editore, 2011). Guarda molti film, passa troppo  tempo on line, ruba pezzi di storie alle persone che incontra.

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