La grande bellezza, o: come diventare sorrentiniani

La grande bellezza, o: come diventare sorrentiniani

Sta tutto nell’autoassoluzione «crazy country but beautiful», pronunciata ieri sera da Paolo Sorrentino nel telegrafico discorso di accettazione del Golden Globe per La grande bellezza. Non avremmo vinto senza. Senza le rovine, gli acquedotti romani, il Colosseo ombelico …Leggi tutto

Sta tutto nell’autoassoluzione «crazy country but beautiful», pronunciata ieri sera da Paolo Sorrentino nel telegrafico discorso di accettazione del Golden Globe per La grande bellezza. Non avremmo vinto senza. Senza le rovine, gli acquedotti romani, il Colosseo ombelico di un mondo che non c’è più, che c’è ancora. L’unico che interessa a gente lontana migliaia di chilometri da noi, e quello possiamo comprenderlo. L’unico che interessa pure alla gente nostra, ed è invece questo il punto, questo il problema.

Dice un’amica mia: «Fossi un investitore straniero, dopo aver visto La grande bellezza non metterei un centesimo nelle casse di questo paese vecchio, decadente, capace solo di crogiolarsi di fronte ai Fori Imperiali». Vecchio e decadente country but beautiful.

È il contrario di quello che accade nelle cinematografie sane altrui. La Francia non vince (ma fa parlare spettatori di cinque continenti) con una ordinaria storia di ragazze in una città di provincia: La vita di Adèle, potrebbero essere pure ragazzi, potrebbe raccontare di chiunque, il fatto è che è una storia contemporanea, parla di quel che può succedere oggi, senza celebrare nessuna bellezza sfiorita. Sfiorito country but beautiful. (La Francia, a differenza nostra, produce più di un titolo all’anno internazionalmente rilevante, ma qui si apre un altro – il solito – discorso, e nessuno ha ancora voglia di sentirlo.)

La grande bellezza vincerà l’Oscar. Dovremo dirci tutti felici – costretti a patriottisimi da fondo di quotidiano – per l’industria patria, per il paese tutto. Lo faremo, ci sforzeremo.

«Un Oscar sarebbe la rovina definitiva, resteremo confinati in quell’immaginario di Piazze Navona e terrazze vista Cupolone», dice quella stessa amica mia. Le ho già consigliato di aggiustare il tiro, le ho detto che in società bisogna mascherarsi da sorrentiniani. Abbiamo fatto i renziani fino all’altro ieri, «l’Italia cambia verso», ora diciamo che siamo inguaribilmente vecchi «but beautiful», non ci scoprirà nessuno. Di’ che ha i suoi limiti, che fa rivoltare i Flaiani nella tomba, ma butta un «bello» a caso da qualche parte.

Stanotte, a Golden Globe fatti, mi è scappato un: «Tanto La vita è bella vincerà anche l’Oscar». Dopotutto, da noi è sempre lo stesso film.

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Mattia Carzaniga

Nato nel 1983, giornalista, scrive per varie testate. Ha pubblicato i  libri «L'amore ai tempi di Facebook» (Baldini Castoldi Dalai, 2009) e  «Facce da schiaffi» (Add Editore, 2011). Guarda molti film, passa troppo  tempo on line, ruba pezzi di storie alle persone che incontra.

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