Tre mila anni e non sentirli - Intervista a Silvana Carcano
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Tre mila anni e non sentirli - Intervista a Silvana Carcano

Silvana Carcano parla del suo libro, della malattia rara che l'ha travolta, di come l'ha affrontata, della sua fede, dell'anticorruzione e l'antimafia come fil rouge dei suoi progetti.

Silvana Carcano, madre di due figlie, laureata in Economia e Commercio, ex consigliera regionale lombarda per il M5S. Ha lavorato in commissione antimafia dove ha presentato e fatto approvare all’unanimità la legge sulla prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione della cultura della legalità. Così viene presentata nel libro Tre mila anni e non sentirli scritto da lei, dove propone una rilettura dei Dieci Comandamenti, attraverso lo sguardo di dieci persone molto diverse.


Com’è nata l’idea di riprendere i dieci comandamenti in questo modo, rileggendoli nello sguardo di dieci persone diverse?

"È sgorgata dalle domande che mi pongo costantemente, e a cui non ho voluto rispondere in solitudine, lasciandomi, invece, aiutare dai pensieri altrui. E così ho abbracciato altre dieci persone per porre loro le stesse domande e riflessioni: chi siamo, o cosa siamo, cosa dobbiamo fare qui, chi ci orienta nel cammino sulla terra? Quante volte percorriamo strade, seguiamo persone, accettiamo incarichi, per accorgerci di non aver ottenuto pace e verità, ma solo nuove delusioni e insoddisfazioni. Vedo troppe persone intente a giocare il gioco degli altri, sotterrando il proprio sogno, unico e personale, abbandonato e ritenuto un passatempo per adolescenti, non meritevole d’attenzione da parte di adulti convinti che solo l’utilità e la funzionalità siano degne di essere perseguite. 

L’attualizzazione del Decalogo è un modo per ascoltare le parole che, tra le altre, permetterebbero la svolta, l’inizio dell’ascolto interiore; sono le Dieci Parole che hanno accompagnato il cammino di Israele fuori dall’Egitto: possono essere le Dieci Parole che accompagnano la liberazione dell’umanità di oggi da altre (o uguali?) schiavitù. Troppe persone vivono di infelicità, rabbia e frustrazione. O di materialità, di efficienza tecnologica e di produttività: personalità normotiche. Ecco, credo che tante persone intuiscano la privazione di qualcosa di fondamentale, così come bramano amore, pace e fratellanza. Il Decalogo è un modo per tornare ad ascoltare la parola di colui che guida verso la libertà.

Aggiungo una riflessione: credo che l’uomo sia di questo mondo e insieme non lo sia; deve riscoprire la sua tendenza innata a trascendersi, abbandonando l’idea di credersi misura di tutto, idea di cui la storia ha dimostrato ampiamente il contrario. Chiunque può capire che l’uomo è trascendente a se stesso, costituito e intessuto, cioè, da elementi che lo trascendono: l’amore, l’amicizia, la sofferenza, il dolore, la morte. Leggi naturali come i Dieci Comandamenti, leggi di buon senso, che esprimono valori autentici e desiderabili da chiunque, possono essere il motore di un nuovo umanesimo, non solo di una nuova vitalità cristiana, e possono farlo «con un’energia universale così da essere una sorta di stella polare anche nel cielo laico e spoglio di presenze divine», come ha scritto Ravasi nel libro dedicato ai dieci comandamenti. 

Ecco perché ho chiesto a dieci persone di fare due chiacchiere con me e di raccontare il modo secondo il quale uno specifico Comandamento è entrato nella loro vita, indipendentemente da eventuali appartenenze religiose o meno. Nelle differenze dei dieci racconti è emerso un filo che unisce tutti: le dieci esperienze si spingono tutte ai confini tra il mondo e Dio, non si accontentano di questa storia e di questo tempo. Anzi, tutti temono, a parer mio, di rimanere bloccati in questo mondo, tanto da criticarlo in molti modi e da numerose angolature. Tutti loro hanno fatto i conti con i drammi attuali e con un periodo storico difficile. Nessuno ha fatto sconti a nessuno, tanto meno alla nostra società occidentale tecnologica. E soprattutto, ecco la bellezza, tutti loro hanno provato gusto autentico ad andare oltre, a trascendere questo mondo, portandosi ai confini di un altro con la naturalità dell’essere umano «vero». Tutti loro hanno osato rompere, spesso in modo discreto, con ciò che è di questo tempo, stralciando i criteri mondani, seppur comodi, per incamminarsi verso sentieri più faticosi e fuori moda, con esperienze alte e altre.

Conversare con queste dieci persone è stato molto arricchente, ho fatto bene a non isolarmi nella scrittura di un testo sull’attualizzazione dei dieci precetti esprimendo solo la mia opinione."


Situazione di fantascienza: ci danno la possibilità di fare in modo che uno di questi comandamenti venga osservato da tutta la società, con profonda convinzione: quale comandamento sceglieresti?

"Non ho dubbi: il primo, Non avrai altri dèi di fronte a me. 

Osserva la storia dell’umanità degli ultimi 2500 anni: vedrai che abbiamo vissuto un continuo alternarsi di guerre, intervallato da momenti di pace. I motivi delle guerre solo apparentemente sono differenti, e, tolti gli orpelli specifici temporali, c’è sempre stato un minimo comun denominatore ad accomunare l’onda bellica dell’umanità: l’idolo del nostro ego. È facile intuire, allora, come tutte le strutture attualmente esistenti (sociali, legislative, linguistiche, psicologiche, culturali, mentali, etc.) siano il risultato del processo secolare di quella storia, depositata strato dopo strato nel nostro essere, nella nostra coscienza. Oggi siamo uomini e donne sostanzialmente cresciuti su un fondamento egoico-bellico. Attraverso i secoli, abbiamo sperimentato differenti forme organizzative comunitarie, alla ricerca del modello societario ideale, sino a costruire Stati sovrani, in guerra tra loro, sino, ancora, a orientarci verso perdite di pezzi di sovranità a favore di enti transnazionali, internazionali e multinazionali. Sempre alla ricerca della società ideale. L’avvento del capitalismo, prima, del tecno-capitalismo e del capitalismo finanziario-speculativo, poi, ha solo modificato le modalità della guerra: da guerra fisica, a guerra economica. Non solo: il secolo scorso ha dimostrato che questa tendenza poteva raggiungere l’autodistruzione totale, a causa della minaccia nucleare. In ogni fase, in ogni costruzione sociale, in ogni guerra, fisica, o economica, o psicologica, o strategica, è prevalso l’ego bellico dell’essere umano. Anche nei confronti delle altre specie viventi: oggi la sfida dell’umanità, e della sua possibile permanenza sul nostro pianeta, è di tipo ecologico, dobbiamo fare pace con il pianeta terra. In sintesi, semplificando all’eccesso, abbiamo fatto la guerra per millenni e oggi paghiamo le conseguenze dei nostri atteggiamenti egoistici e bellici.

Per fare un salto evolutivo è necessario scardinare questi strati egoico-bellici depositati in noi, nei millenni, che influenzano quotidianamente la nostra vita, in ogni sua sfera, in ogni dettaglio. Questo passaggio richiede che vengano sciolti come neve al sole gli idoli che ci spingono ad agire come nel passato. Per riuscire in questo sforzo immane, il primo passo è comprendere che siamo esseri reietti, gettati su questa terra per una briciola di tempo, e che aneliamo costantemente il ritorno alla vera vita. Non avere altri dèi di fronte a noi è un precetto che chiede all’umanità di non essere attraversati dalla storia che si ripete continuamente, ma di essere noi stessi a scrivere una nuova storia. Rimettere Dio al centro della vita dell’uomo, e farlo in un mondo laico e secolarizzato, significa liberare l’umanità dalla schiavitù in cui vive da millenni, curarla dal dolore e dalla sofferenza che vive. Faccio notare che il testo inizia dicendo: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a Me». In questa espressione c’è un aggettivo possessivo: tuo. Dio è il tuo Dio, è il nostro Dio. L’essere umano da millenni anela Dio, che, ci dice il testo, è in relazione con ognuno di noi. È tuo, è mio, è nostro. Esattamente come una madre, un padre, un’amica, una sorella, un fratello. Si apre a una relazione genuina e incondizionata, al pari di qualsiasi persona cara con cui riusciamo ad uscire da noi stessi, liberandoci di maschere e falsità, per donarci e aprirci all’amore e all’amicizia. Dio non ci ha dato dei comandi, ci ha ricordato di essere nostro, di essere in relazione con noi, e che, non riconoscendo la nostra relazione con Lui, continueremo ad avere altri dèi a cui aggrapparci. E la storia continuerà a ripetersi, nelle sue strutture belliche e idolatriche, senza soluzione di continuità. 

Rispettare la prima delle Dieci Parole è l’inizio del cammino del ritorno, verso la libertà. È l’inizio per dirigerci verso la regola che tutto governa: ama il prossimo tuo, come te stesso. 

Solo arrivando a incorporare in ognuno di noi questa regola (sfida immane e quasi irraggiungibile) costruiremo un mondo migliore. Abbiamo costantemente cercato la società ideale, sbagliando. È ora di cercare l’uomo ideale, da cui discenderà una società migliore.

Per farlo bisogna sviluppare l’uomo spirituale, che, per definizione, è indisponibile a ciò che è solamente materiale. È un uomo con un piede sulla terra e uno in cielo, non è manipolabile da oligarchie di uomini con interessi economici o politici. 

Come intuì Karl Rahner: «Il cristiano del futuro sarà un mistico o non sarà affatto».

A me piace traslare questa intuizione a tutta l’umanità: «l’essere umano del futuro sarà un mistico o non sarà affatto». Non avrai altri dèi di fronte a Me."


Dopo l’uscita di questo libro ti sono successe delle cose serie a livello personale, di quelle cose che sentiamo terrore solo a immaginare. Ti va di condividere con noi questa esperienza? Come l’hai attraversata? Come stai adesso? Cosa succede con la fede in una situazione così?

"Il libro uscì nella seconda metà di gennaio, per febbraio avevo organizzato numerosi eventi di presentazione del saggio. Ne ero entusiasta, mi affascinava l’idea di iniziare a girare per parlare del mio libro. E, invece, proprio pochi giorni dopo l’uscita del testo, mi accadde una cosa assurda. Fu come se qualcuno avesse acceso un interruttore: on, off. La mattina del 5 febbraio mi trovavo a Paderno, con mia figlia minore, iniziai a stare male, in pochi istanti accusai dolori atroci tra le scapole, che arrivavano sino alla punta delle dita. Mia figlia chiamò l’ambulanza, che arrivò dopo circa mezz’ora. Mi portarono in pronto soccorso, mi dissero che era solo un attacco di panico. La sera tornai a casa. Ero sfinita. Non capivo, non avevo mai avuto attacchi di panico in vita mia e avevo sempre condotto una vita intensa. La sera andai a dormire, ma credo di poter dire che svenni, non che mi addormentai. Il giorno dopo mi trascinai dalla mia dottoressa curante per dirle quanto mi era successo e che accusavo una stanchezza indescrivibile. Mi prescrisse degli esami. Feci giusto in tempo ad andare a Varedo, il paese vicino al mio, per una commissione, e il dolore iniziò di nuovo. Fu terribile, non riuscivo a stare in piedi, mancava l’aria per il dolore e sentivo le braccia e le gambe atrofizzate. Fortunatamente, quella volta l’ambulanza arrivò immediatamente e capirono subito la causa di tutto: un infarto. In pochi secondi mi operarono, recuperando anche la dissezione e rottura di una coronaria che altrimenti mi avrebbe tolto la vita da lì a pochi minuti. Si accorsero anche dell’infarto delle ore precedenti, che aveva causato, per il mancato intervento, la necrosi di parte del cuore. Da quel giorno iniziarono a studiare come mai una persona come me, apparentemente sana e senza fattori di rischio, fu colpita da due infarti importanti. Mesi dopo arrivò la diagnosi: sindrome di Beals, malattia congenita rarissima, che richiama la sindrome di Marfan, ma con una incidenza epidemiologica inferiore. Ora sono controllata da fantastici medici, infermieri e operatori sanitari, che ringrazio sempre. E spero che, avendo superato il momento più critico di questa malattia, la dissezione, cioè, delle coronarie, possa essere utile alla scienza e alla ricerca.

Come ho vissuto questa esperienza? Non è facile passare da una vita intensa come era la mia a una molto più tranquilla. Sono stata 5 anni in Consiglio regionale della Lombardia come presidente del M5S, facendo un’opposizione durissima. Ero sempre in prima fila: sul tetto del San Raffaele per difendere i lavoratori ingiustamente licenziati, sulle colline e sulla strada per evitare sventramenti assurdi di verde a favore di opere inutili, colate di cemento (e mai terminate, ancora lì, come mostri infernali con le loro bocche mangia verde); in aula non passavo certamente inosservata, dovettero farmi portare via dalla digos quando protestai contro l’ex assessore Mantovani tornato in aula dopo l’arresto o quando cercarono di non rispettare il regolamento d’aula per far passare un emendamento già votato e rifiutato. Non esitai mai a seguire indagini scomode, a fare il possibile per dare il meglio in Commissione Antimafia regionale, a far passare la legge che scrissi e che, infine, venne approvata all’unanimità (la legge regionale 17/2015). Non mi risparmiavo in nessuna azione, in nessun momento, per nessun motivo. Avevo energie da vendere, nonostante avessi anche una famiglia con due figlie. Tutto mi appassionava a tal punto che non sentivo la stanchezza. Ora, invece, tutto è un pochino più complicato. Sarà che sono passati solo pochi mesi dall’accaduto ma non ho certamente le energie che avevo prima. O meglio, il mio spirito le avrebbe eccome, e la voglia di fare e di vivere non sono calate affatto, ma il fisico non mi sta dietro. 

Ma, ne sono certa, ho avuto una grande grazia. Non solo perché non sono morta al primo infarto non diagnosticato e nemmeno al secondo, nonostante la dissezione e rottura della coronaria. Ma anche perché il primo giorno di terapia intensiva era il mio 47esimo compleanno e ho sentito che stavo davvero rinascendo a una nuova vita. L’esperienza della malattia mi ha aiutata a eliminare dalla mia vita ciò che era superfluo e dannoso, persone comprese, mi ha permesso di alleggerirmi di ciò che fino al giorno prima credevo di non poter lasciare andare. La malattia, insieme alla fede, mi ha fatto rinascere. Sembra assurdo, ma è così. Certo, la fede l’ha fatta da padrona. E questo è ancora più incredibile se penso che durante la campagna elettorale del 2013, quando ero candidata alla presidenza della Regione Lombardia contro Maroni e Ambrosoli, mi dichiaravo non credente. L’ho scritto nel libro: poco dopo essere entrata in Regione, ho iniziato a sentire di essere chiamata in maniera intensa e chiara a «ricongiungermi con il mio spirito per vivere di conseguenza». Nell’introduzione del nono comandamento racconto come ho scoperto la fede e come mi sono riavvicinata a Dio gradualmente, con un percorso iniziato pochi anni fa e tutt’ora in corso. Iniziai a voler sapere di più su questo Dio cristiano, in fondo non ne sapevo un bel niente di Gesù. Come ho scritto nel libro: «Non smetterò più di domandarmi chi è questo Dio, sempre nascosto, adorato da secoli, ma sconosciuto ai più, che diventa uomo sino a farsi inchiodare ad una croce. Chi è Costui che mi ha regalato segni lungo tutta la vita, senza stancarsi mai di sussurrarmi all’orecchio anche quando insistevo nel non volerlo sentire, a me che sono solo quasi come un soffio, che mi ha obbligato a scommettere su di lui col cuore, solo per amore, e non col raziocinio di una dimostrazione scientifica della sua esistenza a cui mi sarei dovuta, a quel punto, attenere per forza? Chi è costui che vuole che puntiamo tutto su di Lui con slancio d’amore soltanto, per Lui e per gli altri fratelli, e che stravolge la vita delle persone che lasciano la porta aperta, sbattendole in ginocchio, piegandole davanti ai loro errori, alla loro piccolezza, alla loro fragilità, ma sedendosi loro accanto e sorridendo? Chi è costui che ha spezzato la storia in due, prima e dopo di Lui? Con Gesù finisce il tempo e con Lui riprende. Chi è Costui?» (pag. 182)

Quando vivi con questa prospettiva, sei semplicemente più serena e felice, nonostante tutto."


Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Che ruolo per la politica nel tuo futuro?

"Ho un miliardo di idee, continuo a creare progetti che propongo a destra e a manca. Il fil rouge di tutto è sempre, e ancora una volta, l’anticorruzione e l’antimafia. Terminato il mio mandato politico nel 2018 decisi di non ricandidarmi a quella tornata elettorale, per vari motivi, anche se speravo che avrei potuto fare il tecnico per qualche forza politica, viste le mie competenze in materia. Fu un anno difficile, prima perché sembrava che le mie forti competenze non servissero né ai gruppi politici (in Italia, capisci l’assurdo?), e nemmeno nel mercato del lavoro. Poi gli infarti. E il fermo per altri mesi. Fu davvero dura far quadrare la mia vita. Ma non persi mai la fiducia. Sapevo che la mia semina continua, imperterrita, costante e di qualità avrebbe dato i suoi frutti. Da qualche settimana, infatti, un’innovativa impresa sociale mi ha accolto tra i suoi collaboratori e ora sono la Project Manager dell’anticorruzione nella Pubblica Amministrazione e per la cultura della legalità nelle scuole di ogni ordine e grado. 

Certo, la politica per me rimane una grande passione, seguo tutto con grande interesse, anche se a distanza. Sono convinta che si possa fare politica anche al di fuori delle istituzioni, alternando periodi istituzionali ad altri, di vita più «normale»: serve per mantenere i piedi per terra, per non lasciarsi affascinare dalle sirene del potere e del denaro. Che sono terribili, trasformanti. Ora seguo la politica locale del Comune dove vivo, senza grande impegno, a causa della malattia. Ma sono certa che, gradualmente, tornerò ad essere più dinamica e che potrò impegnarmi più concretamente in politica, come un tempo. Certo, serve il contenitore adatto per fare politica. Ma l’Italia è affascinante anche per questo: le sorprese politiche sono sempre dietro l’angolo. Spero solo che l’ego dei politici, che li ha spinti ad arrivare ad una politica personalistica e sleale, vada a scemare. O che nasca una nuova classe politica meno arrogante, egoista, falsa e incompetente."


Sta lavorando ad altri libri?

"Sì, nel poco tempo libero che mi rimane. Questa volta provo con un romanzo, spero di trovare una casa editrice, quella che ho ora, Ȧncora, pubblica solo saggi. Si tratta di una storia ispirata ad una vera, parla di un uomo di mezza età che lavora da generazioni nel campo edile, nel comasco. E che, per motivi che qui non anticipo, si ritrova la società controllata dalla ‘ndrangheta. La trama, però, segue una narrazione a «stazioni», ricordando quelle della Via Crucis. Voglio far notare che le vite di alcune persone, a volte vicine a noi, sono vere e proprie croci, inchiodate addosso in maniera terribile. Vite di cui nessuno parla, e che possono essere considerate più vicine a Cristo rispetto a quelle di altri personaggi famosi e beatificati. Non so quando la terminerò. Non scrivo velocemente, non mi costringo nemmeno a scrivere con regolarità, lo faccio quando riesco e quando posso.

In realtà, in contemporanea, ho iniziato anche uno space-fantasy. Al momento ho solo costruito il mondo parallelo in cui collocare i personaggi e la storia. E ho iniziato a tratteggiare alcuni personaggi. Questo space-fantasy credo che mi impegnerà per anni. Mi diverte un sacco. Chissà che un giorno non possa vivere solo della mia scrittura…"


E una domanda che faccio sempre: cosa è per te il buio?

"Da quando credo in Cristo, per me il buio è vivere la vita senza pormi le vere domande e senza capirne il senso, re-agendo a ciò che accade, senza agire con coscienza. Il che equivale a dire che il buio è stare ferma, smettere di camminare, di avanzare nelle mie ricerche spirituali, o, addirittura, regredire. Osservo troppe persone vivere come lasciandosi trascinare dalla corrente dei fatti e degli accadimenti, senza un perché. Mi spaventa questa prospettiva. Non voglio essere impreparata quando arriverà il mio penultimo respiro, è un rischio terribile a cui tante persone non pensano. Ci si deve preparare alla morte, lungo tutta la vita. È vero che il cammino spirituale è eterno, non ha fine, ma è anche vero che non si può perdere nemmeno un giorno, non dobbiamo inventarci scuse per arrestare il cammino. Bisogna sempre avanzare, nonostante i tanti freni che la vita materiale e consumistica ci mette sulla strada. Non basta lasciare l’Egitto, bisogna anche entrare nella Terra Promessa, disse san Giovanni Crisostomo. Ecco, e credo che per incamminarsi verso la Terra Promessa serva, al contempo, attraversare il buio. Quello interiore. Non c’è sforzo maggiore di quello che un essere umano deve fare per affrontare i propri demoni, il proprio buio. E non c’è vicario di nessuno per questo compito, che può richiedere, sovente, l’intera vita. E torno ancora una volta a sollevare una critica al nostro modo di vivere: quanto è difficile, se non impossibile, per l’uomo di oggi contemplare se stessi in compagnia di Dio, per viaggiare nel proprio profondo e affrontare le notti interiori? La nostra società ha tolto il primo tassello elementare dell’inizio di questo viaggio: ha eliminato il silenzio.

Eppure, come ricorda il padre del deserto Ammona, discepolo di Sant’Antonio: «Guardate, miei cari, vi ho mostrato il potere del silenzio, la sua immensa capacità di guarigione e quanto è gradito a Dio. Per questo vi ho scritto, affinché vi mostriate forti in quest’opera che avete intrapreso, in modo da capire che è attraverso il silenzio che sono cresciuti i santi, ed è a causa del silenzio che il potere di Dio ha dimorato in loro e i suoi misteri sono stati loro rivelati». 

Ecco, la nostra società vive un periodo di buio, immersa in luci artificiali, sempre sommersa da frastuono, incapace di bellezza e di dialogo, apparentemente libera. Grazie al cielo esistono infinite lucciole nelle tenebre, che brillano grazie alla presenza e alla loro consapevolezza interiore. Il buio, per me, sarebbe separarmi dalla fonte di luce primaria, quella divina. Ed è una lotta continua, ogni giorno, perché l’io di ognuno di noi, anche del fedele più convinto, tende ad opporsi all’impulso di rimanere un tutt’uno con Dio. Lo vediamo continuamente. Eppure, è solo con l’unificazione, smantellando la dualità in cui viviamo, che torniamo alla totalità; ed è allentando la presa, donandoci all’amore che ci cerca, smettendola di pensare di salvarci da soli, che ci salveremo. Dobbiamo rinascere. Rinascere."

Tre mila anni e non sentirli . Silvana Carcano
Tre mila anni e non sentirli . Silvana Carcano

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Mercedes Viola