La vita tra una spinta e l'altra
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La vita tra una spinta e l'altra

Una spinta ci mette al mondo, e una spinta chiediamo quando ci mancano le forze, altre arrivano non richieste e non volute a stanarci, spintoni ci aiutano a reagire. Fino all’ultima a volte brusca e improvvisa, altre sofferta e contrastata fino all’ultimo, altre amorevole e delicata spinta che ci manda su, o non so dove.

Avevo lasciato le bimbe grandi a scuola e guidavo verso casa quando in viale Vittorio Veneto. Mentre aspettavo il verde una macchina mi spintona  da dietro. Scendo, lei scende, guardo il sedere della mia macchina,  “non è successo niente” dice lei milanesissima. “Scusa” proprio non le è venuto, pazienza. “Cosa ti è successo?” le chiedo azzerando tutte le regole italiane su quando dare del lei, e quando dare del tu. D'altronde lei avvicinandomi così non era stata proprio protocollare. “Mah…chi lo sa? ero sovrappensiero”, frase che copre un “guagrdavo il telefonino” (ma queste sono solo mie maldicenze), la guardai un secondo e le dissi “buona giornata”. 

Avevo voglia di piangere perché al conduttore del programma di radio che ascolto a quell’ora era mancata la moglie, ed era tutto così triste. Triste di per sé, e triste perché uno si rispecchia. Lei aveva più o meno la mia età, figli piccoli, amava scrivere. E quindi ti vedi nei suoi panni ed è molto triste e fa paura. Pensai che se veramente la signora era soprappensiero le auguravo pensieri leggeri; la meta di un viaggio, la preparazione di una cena con amici, cose così.

Arrivata a casa parcheggiai, e siccome nel frattempo la piccola si era addormentata sul seggiolino, presi il mio libro e me ne stetti lì ad ascoltare la radio per non svegiarla. Qualche minuto dopo, la macchina parcheggiata davanti a me si mette in moto per andare via, e facendo retromarcia mi spintona in senso contrario a quella di prima. Appoggio il libro al volante e la vedo andare via, neanche una manina floscia a dire “ops”.

Va bene, oggi va così, forse questa ha equilibrato le forze. Immediatamente mi sono guardata ai lati per vedere se non mancavano altre due direzioni da equilibrare, e non vedendo nessuno continuai nella lettura. 

Finquando un camion pareggia la mia macchina, mi affianca (giusto perché non poteva darmi una spallata). Abbasso il finestrino del copilota e il signore mi dice seguendo le parole con la manino destra a forma di pesce leso: “Un po’ più avanti o un po’ più indietro, no eh?”. Guardo indietro dallo specchietto retrovisore, e vedo che in effetti la macchina parcheggiata dietro di me se ne era andata, solo che non avendomi spintonato, non me ne sono accorta. (Mi ero tarata velocemente alla sensibilità da tenere). "Sì certo cavaliere" dico, metto in moto col libro sulle gambe e vado. Avanti. 

Perché alla fine è quello che queste donne ci mostrano, ciò che ci invitano a fare con le loro vite: ad andare avanti, non si può fare altrimenti. Anche quando la vita ti spintona da più direzioni. Accettando a un certo punto che quello è il senso in cui tutto si muove, e nel quale continuerà a muoversi anche dopo di noi, e che quelli che lasciamo, dovranno tarare la loro sensibilità con pesi nuovi, che saranno smarriti e addolorati ma, senza neanche rendersi conto all’inizio, staranno andando avanti, perché saranno comunque parte di questo gioco dove le nostre anime sono attraversate dal tempo, e il tempo non si ferma mai. Una spinta ci mette al mondo, e una spinta chiediamo quando ci mancano le forze, altre arrivano non richieste né volute e ci stanano, spintoni che ci aiutano a reagire. Fino all’ultima, a volte brusca e improvvisa, altre sofferta e contrastata fino all’ultima,  amorevole e delicata sipinta che ci manda su, o non so dove.

Non sentendo mia  nessuna religione, non ho certezze. Nel tempo ho popolato l’ignoto con l’idea che una cosa così divina come l’anima, che ci àncora al tempo di questa terra per un po', che ci consente di sentire, privilegio che si manifesta in pelle d’oca  e lacrime di ogni provenienza,  in sangue iraconda o amante che divampa nelle vene, non può che andare in un luogo bello, e non può scollegarsi così tanto dalle anime con le quali in questa terra ha creato un unico soffio. 

Virginia Wolf disse che nei suoi romanzi qualcuno doveva morire sempre, in modo che gli altri potessero apprezzare la vita. Dai findelmondani si vegliano i defunti per un giorno e una notte e ci si ritrova in tanti, amici, parenti, conoscenti, sembra una festa attraversata dalla nostalgia, una festa d'addio. E forse sarà per questo che viene da ridere e raccontare barzelette, da ricordare aneddoti esilaranti e riderci sopra, piangendo, forse per questo arrivati a casa dopo il funerale venga da fare l’amore, perché ce ne accorgiamo di non essere eterni, e ci scappa  fortemente da vivere.




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Mercedes Viola