Halloween e il sogno americano
In Italia questa festa sembra un inno al "Vorrei ma non posso"
Ogni anno è sempre più presente la mania di festeggiare Halloween anche in Italia.
Anche da noi, come nei telefilm americani (l’America è uguale ai telefilm che ci hanno fatto conoscere l’America quando eravamo piccoli, tanto vale pensarla solo attraverso le sue rappresentazioni) si intagliano zucche e bambini e adulti sfruttano l’occasione per travestirsi da vampiri, streghe, fantasmi, zombie, etc, etc.
Si moltiplicano le iniziative dell’orrore, con ghost tour improvvisati, spettacoli a tema, visite guidate in vecchi castelli di paesini sconosciuti, etc, etc.
È tutto un grande etc, etc, l’Halloween italiano, una festa senza tradizione, né sentimento, neanche pop o commerciale, in cui la gara a fare gli americani più degli americani ci vede eternamente sconfitti.
Sempre più bambini vanno a fare i giri porta a porta salmodiando “dolcetto o scherzetto”.
Io ringrazio Dio di non essere stato bambino oggi.
Di non essermi dovuto produrre, a suo tempo, in questa brutta copia della festa USA, una pantomima che ci relega a macchiette (chi osa immaginare il paragone fra i dolci nei sacchi dei bambini a stelle e strisce e i dolci in quelli dei nostri?).
C’è chi, per ragioni religiose, vorrebbe vietarlo, in quanto festa del demonio, che attraverso gli scherzi e le maschere si fingerebbe innocuo per insinuarsi nelle nostre vite.
C’è chi ne attacca la natura commerciale (sono gli stessi che si scagliano contro il Natale materialista festa di Giochi Preziosi e San Valentino, protettore della Perugina) e vorrebbe farne una serata di Sabbah e sedute spiritiche “autentiche”.
Personalmente, vieterei Halloween per ragioni estetiche: “non siamo all’altezza”. Inutile girarci intorno.
Festeggiare Halloween in Italia fa solo venire una grande voglia di America. Con le sue tradizioni tradizionalmente pacchiane (pensiamo al giorno del ringraziamento, pensiamo a quegli enormi tacchini) la sua anima semplice, fatta di province profonde e stereotipi diventati il nocciolo incandescente del nostro immaginario.
Fa pensare a come gli americani vedono gli europei, decadenti, “fracnesi”, piccoli e sofisticati cittadini incapaci di concepire niente di realmente grande e rilevante nel mondo.
Fa pensare ai soldi: al fatto che i soldi, nell’immaginario (e i soldi sono soprattutto potenza immaginifica) sono i dollari, bellissimi, verdeggianti, con la pretenziosa scritta “in God we trust”, confidiamo in Dio. E al fatto che a noi toccano gli euro, orrendi, “finti”, praticamente i soldi del Monopoli, anzi della versione Disney, Monopolino.
Il vero limite del filoamericanismo è la sua inevitabile storpiatura al ribasso.
Teniamoci il Carnevale e lasciamo perdere Halloween.
E riascoltiamo con struggimento uno degli inni italiani che celebrano la superiorità e la poesia del nuovo continente, Buffalo Bill, di De Gregori.
E ammettiamo candidamente che noi, come il protagonista della canzone, “fra la vita e la morte”, avremmo scelto l’America.