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GoPro
Tecnologia

Action cam, la vendetta dalla tirannia del selfie

Spostano l'attenzione sull'azione, coltivano la nostra vanità ma da una prospettiva meno banale, più viva, molto dinamica

Sono l’antitesi del selfie: vietano di specchiarsi in uno schermo perché spesso non ne hanno uno. Si limitano a un mirino o ne fanno volentieri a meno, tanto il loro occhio elettronico dallo sguardo ampio dà sempre risultati di livello. Eppure degli autoscatti, della mania di ritrarre sé stessi, sono anche l’esasperazione, l’evoluzione su un piano più complesso: consentono di raccontare la propria vita per filmati anziché tramite uno scarno fermo immagine.

Le «action cam», già ribattezzate «personal cam», sono dispositivi dall’ingombro minimo e la pelle durissima: tascabili, da agganciare a qualsiasi oggetto, superficie o veicolo, resistono a urti e cadute, sono immuni a un diluvio come agli schizzi del mare. Si possono usare in bicicletta o su una canoa lanciata tra le rapide, durante un’escursione subacquea nella barriera corallina o su un ghiacciaio che accarezza le nuvole.

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Però in fretta, da pallino per sportivi drogati di adrenalina, si sono trasformate nel feticcio di chi, a prescindere dall’età anagrafica, non si accontenta più di vivere un’esperienza: vuole immortalarla per conservarla in formato digitale e, alla prima occasione utile, condividerla sui social network. Piazze virtuali in cui la concorrenza è smisurata, dove per collezionare «mi piace» bisogna attrezzarsi, spingersi oltre la lente miope e il corpo fragile di uno smartphone. Sia che si tratti di registrare il momento liricissimo di un concerto che il panorama dalla Tour Eiffel o dal balcone di casa.  

Sono i numeri a sancire la tendenza, a mostrare i muscoli che ha sviluppato negli ultimi dodici mesi: secondo le previsioni della società di ricerche GfK, i pezzi venduti a fine 2015 a livello globale sfioreranno i 10 milioni, il triplo in confronto al 2013. Un salto in avanti notevole anche rispetto al 2014, quando le unità acquistate non hanno superato i 7 milioni. Se il mercato è stabile negli Stati Uniti, decolla anzi vola nel Vecchio Continente, polverizzando record con margini di crescita superiori all’83 per cento. Merito di un’offerta sempre più vasta che ha portato a un crollo dei prezzi, con proposte anche sotto i 90 euro. È il caso per esempio della Sj4000 di Sjcam, che cattura video in alta definizione e costa quanto alcuni accessori pregiati della GoPro.

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Già, la GoPro. Non è possibile raccontare le action cam senza citarne la capostipite, senza ricordare il miracolo della società californiana nata dall’intuizione di un surfista spericolato, oggi sull’onda di un impero che in borsa vale quasi 3 miliardi di dollari: Nick Woodman, l’opposto del prototipo del «nerd» della Silicon Valley, ha capito con dieci anni d’anticipo che queste scatoline occhiute di chip avrebbero avuto un futuro felice. Non solo ha cominciato a costruirle e venderle, ma ha dato agli appassionati un luogo per esibirsi, dove pubblicare le loro avventure: un canale ufficiale su YouTube che ora veleggia verso i 4 milioni di iscritti (altri 10 milioni transitano da Facebook) e ospita filmati da 26 milioni di clic, più della finale del Festival di Sanremo o dell’atto decisivo della Champions League.

GoPro è lo standard, il lusso, la Ferrari del settore, così venerata da permettersi di fare scuola. In senso doppio: letterale, perché organizza corsi anche in Italia per realizzare video perfetti (più info qui); più ampio ma sostanziale, dato che ha convinto i colossi dell’elettronica, da Sony a Panasonic, da Garmin a TomTom, ad arrivare nei negozi con le loro proposte. A colmare un silenzio che faceva rumore. Ce ne sono per tutti i palati, inclusi gli esigenti e spendaccioni, che possono saziarsi con macchine equipaggiate con il 4K, il nuovo standard della definizione sublime. O regalarsi oggetti pensati ad hoc per le acrobazie sulla neve, come la F-60 di Nilox, vaccinata agli scossoni da snowboard o la SkiMask Hd di Mediacom, integrata in una maschera da sci.

La SkiMask HD di Mediacom

«Siamo una videocamera» ha sentenziato il magazine americano «The New Yorker», che al fenomeno ha dedicato un lungo articolo in cui teorizza come questi dispositivi sappiano amplificare le nostre esperienze, consentano di coglierne sfumature che rischiano di andare perse mentre le viviamo e riescano a dilatare la memoria: «Psicologi e neurologi» scrive il giornale «hanno scoperto che i video di un evento sono più efficaci degli appunti o delle conversazioni nell’aiutare le persone a ricordarlo». Insomma, il giudizio sembra assolutorio e non senza fondamento: mentre un selfie ci distrae, ci sollecita a essere concentrati sulla nostra immagine, l’action cam sposta l’attenzione sull’azione, mette l’accento su ciò che sta accadendo. Tanto in una situazione straordinaria come una danza di luci nel cielo dell’aurora boreale, quanto durante una passeggiata in centro o un giro in motorino. Forse è tutta qui la vera nemesi dalla tirannia dell’autoscatto: durante il 2015 abbiamo sì continuato a coltivare la nostra vanità mettendo al centro noi stessi e il nostro microcosmo, ma almeno lo abbiamo fatto da una prospettiva meno banale, più viva, molto dinamica.

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Marco Morello

Mi occupo di tecnologia, nuovi media, viaggi, società e tendenze con qualche incursione negli spettacoli, nello sport e nell'attualità per Panorama e Panorama.it. In passato ho collaborato con il Corriere della Sera, il Giornale, Affari&Finanza di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Corriere dello Sport, Economy, Icon, Flair, First e Lettera43. Ho pubblicato due libri: Io ti fotto e Contro i notai.

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