Sileri: «È stato uno tsunami. Per questo non si può colpevolizzare la Lombardia»
Il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri (Ansa).
Politica

Sileri: «È stato uno tsunami. Per questo non si può colpevolizzare la Lombardia»

Il viceministro Cinque stelle della Salute fa autocritica sulla Regione ora messa sott'accusa. E sulla Fase 2 aggiunge: «Non ci sarà senza distanziamento e tamponi». I dissidi con il ministro Speranza? «Lui è un politico, io sono più pragmatico».


«Attenzione a giudicare la Lombardia, è stata investita da uno tsunami incontrollabile». Parla il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri, che a Panorama dice che all'inizio anche i bollettini dell'Oms «erano lacunosi» e che di errori, di fronte a un evento a cui nessuno era preparato, «ce ne sono stati e a tutti i livelli». Sulle Rsa, ora nel mirino della Procura per il boom di contagi, afferma: «Nelle residenze per anziani occorre una rivoluzione». E sull'ancora indefinita Fase 2: «È un periodo di transizione in cui serve un grosso sforzo organizzativo, anche da parte delle aziende per applicare le linee guida sul lavoro». I contagi calano, ma «dobbiamo essere pronti all'evenienza di una ripresa dell'epidemia».

Da inizio emergenza il governo, che si è mosso con la prima direttiva un mese dopo i primi contagi, si è spesso scontrato con la Regione Lombardia. Sono le prove verso la centralizzazione della sanità? «Il Covid-19 ha indicato in modo violento la necessità di un ripensamento, che però resta prerogativa del Parlamento. Le materie a mio avviso da lasciare allo Stato centrale sono la prevenzione - perché c'è troppa difformità tra le varie Regioni - e gli acquisti. Basta con gare locali, tutto va centralizzato: solo così si elimina la burocratizzazione. Altrimenti su ogni gara si rischia il ricorso al Tar e al Consiglio di Stato. E in questo modo si tagliano fuori anche le mafie».

Ma alla Lombardia che voto dà?
«È stata investita da uno tsunami imprevisto, nuovo, incontrollato e difficile da gestire. Prima di additare come colpevole la singola regione, ricordiamo che stiamo parlando della gestione di un'emergenza mai accaduta prima. Alla fine di tutto si riavvolgerà il nastro e se qualcuno ha sbagliato pagherà».

Sulle Residenze sanitarie assistenziali cos'ha da dire?
Dall'inizio dell'epidemia sono state controllate dai Nas oltre 600 Rsa e sono stati trovati gravi problemi solo in alcune, soprattutto nell'organizzazione del lavoro, sul controllo dei dispositivi, sia per la sicurezza dei lavoratori che dei degenti. Il problema tuttavia non è solo di oggi. Se si leggono i report dei Nas degli anni scorsi emerge come in una Rsa su quattro ci fosse qualche forma di irregolarità. Alcune sono state chiuse, i responsabili denunciati all'autorità giudiziaria per problemi di igiene, ma anche per maltrattamenti».

Quindi queste strutture che fine faranno?
«Il coronavirus ha mostrato che servono maggiori controlli da parte del ministero della Salute e delle altre istituzioni sanitarie. Dalla convenzione firmata con l'apertura, fino alla qualità dei servizi offerti».

Lei è contrario alle Rsa come istituzione…
«No, ma le persone che ci lavorano all'interno devono essere formate. Non bisogna che quei letti diventino «letti di attesa della morte». Attraverso lo strumento del «budget di salute» si possono anche sistemare gli ospiti delle Rsa al di fuori delle strutture assistenziali, con un mix di welfare, lavoro e famiglia. In concreto, si riuniscono quattro o cinque anziani e si dà loro una soluzione abitativa».

Quanto manca da una vera uscita del Paese dal lockdown?
«Il "quanto manca" dipende dall'andamento dell'epidemia. I prossimi passi per la riapertura riguardano le sedi di lavoro: se in un ufficio ci sono più scrivanie, e quindi più persone, queste dovranno essere distanziate. Dove ciò non sia possibile, andrà applicato un distanziamento temporale con turni di servizio diversi. Gli spazi comuni vanno riorganizzati, con costante sanificazione».

Chi è che controllerà il rispetto delle regole nelle sedi di lavoro?
«Il medico sarà la figura fondamentale. Le nostre aziende hanno già un sanitario competente che controlla la salute dei dipendenti. Ovviamente per le piccole aziende e i negozi dovrà intervenire un referente dei dipartimenti di medicina preventiva della rete territoriale pubblica».

C'è grande confusione su tamponi e test sierologici. Da medico faccia chiarezza.
«I tamponi riscontrano la presenza del virus e quindi ci dicono se una persona è "infettante" o meno. Sono quindi fondamentali e devono essere utilizzati sempre di più, ma con intelligenza, individuando gruppi e comunità a rischio. Per esempio tutti i lavoratori nella sanità, chi è impegnato nei servizi essenziali e i soggetti più fragili».

E i test sierologici?
«Non sono un'alternativa al tampone, servono a capire se si è entrati in contatto con il virus e vanno a scoprire gli anticorpi. Chi ha un test sierologico positivo, magari asintomatico, non è detto che sia del tutto guarito. A quel punto, per capirlo, si dovrà fare il tampone».

Che limiti hanno questi test?
«Non esiste ancora né in Italia né nel resto del mondo un test sicuro. Possono dare risultati falsati, tra falsi positivi e falsi negativi. Ma intanto dobbiamo usare quelli migliori che già abbiamo».

Ha un approccio differente da quello di Roberto Speranza? Alcuni dicono che sia lei il vero ministro.
«Ho un percorso formativo diverso e faccio un altro lavoro nella vita, non quello della politica. Quando si è in sala operatoria c'è un'intera équipe che lavora con disciplina e rigore perché si deve salvare una vita umana. Diciamo che tendo a essere più pragmatico».

Non è stato lo stesso ministero della Salute, con la moltiplicazione di comitati ed esperti, ad aver alimentato la confusione?
«Avere esperti e scienziati è importante per ottenere vari punti di vista che affrontano problemi complessi. Poi però si deve saper fare la sintesi, e torniamo al chirurgo e al tavolo operatorio».

Parliamo della app Immuni.
«La ratio è permettere di individuare, nel caso di un positivo al virus, le persone con cui entra in contatto entro un raggio di pericolosità e di avvertirle. C'è poi la funzione del diario clinico, che consente di controllare le condizioni sanitarie dell'utente. Ovviamente la app è pensata su base volontaria, non obbligatoria».

E la privacy, i nostri dati sensibili in quali mani finiranno?
«È una domanda da rivolgere al ministero dell'Innovazione, comunque in Italia abbiamo leggi importanti ed evolute sulla privacy».

I guariti avranno la libertà su tutto?
«No, perché non sappiamo se l'immunità dura pochi mesi o due anni, quindi dovranno usare le stesse misure degli altri, dalle mascherine ai vari dispositivi di protezione».

A proposito di mascherine, in un servizio televisivo le Iene hanno detto che sua moglie è un'agente che le vende…
«Falso. Mia moglie è una semplice impiegata dal lontano 2008 di un'azienda che nel 2019 ha vinto una gara del 2017».

Lei ha detto di essere favorevole all'obbligo del vaccino, quando sarà scoperto. Come Cinque stelle cosa racconterete ai No vax?
« Lasciamo parlare gli scienziati e gli immunologi, che dietro hanno sempre una squadra. Secondo me il vaccino è importante, altrimenti chiedo a chi si oppone di darmi una soluzione alternativa, che però deve essere scientifica, non frutto di 10 minuti passati su internet».

I più letti

avatar-icon

Maria Elena Capitanio

Attiva da 10 anni tra giornali, radio e tv, è autrice del libro «Comunicare da leader. L'arte diconvincere dell'era della post-verità». Collabora inoltre con le università come docente di oratoria

@MElenaCapitanio

Read More