Il buco nero nelle elezioni americane
Donald Trump la notte delle elezioni, il 4 novembre 2020, alla Casa Bianca (Ansa).
Politica

Il buco nero nelle elezioni americane

L'editoriale del direttore

La multinazionale statunitense Pfizer ha atteso il 9 novembre per dare la notizia del vaccino anti Covid. Quando la partita della Casa Bianca era ormai terminata.


Se ne sono accorti in pochi, ma la scorsa settimana Repubblica ha fatto uno scoop internazionale, che potrebbe servire a Donald Trump per sostenere le accuse che l'elezione del 46° presidente degli Stati Uniti d'America non sia stata regolare. La notizia esclusiva, pubblicata dal quotidiano diretto da Maurizio Molinari, occupava l'intera testata della prima pagina: «All'Italia 1,7 milioni di vaccini». Sottotitolo: «Le prime dosi a gennaio. Incontro del ministro Speranza con la Pfizer, che annuncia: "Efficace al 90%". Volano i mercati».

Vi state chiedendo dove stia l'esclusività della notizia, visto che tutti, ma proprio tutti i giornali hanno parlato del vaccino messo a punto dalla multinazionale a stelle e strisce? Lo spiego subito: lo scoop sta nel passaggio in cui si annuncia che il ministro italiano della Salute ha incontrato i dirigenti del gruppo farmaceutico. A dire il vero, Speranza non li ha incontrati, come recita il sommario della prima pagina, ma ha solo parlato con loro in videoconferenza.

La conferma della conversazione la si ha a pagina tre, nell'articolo in cui Tommaso Ciriaco, cronista della testata romana, spiega che il 29 ottobre i massimi rappresentanti della Pfizer hanno colloquiato con il ministro italiano per «pianificare tempistica, dettagli tecnici e logistici per avviare la vaccinazione anti Covid di 1,7 milioni di italiani già a partire dalla seconda metà di gennaio 2021».

Vi state ancora chiedendo che cosa ci sia di straordinario in queste poche righe? Beh, è ora di svelare il mistero. Repubblica scrive che il 29 ottobre i capi del gigante farmaceutico trattano con Roberto Speranza il numero di dosi del vaccino anti Covid da destinare all'Italia.

Significa che quattro giorni prima del voto americano, la multinazionale era già a conoscenza dei risultati delle sue ricerche e stava già trattando con gli Stati per vendere il proprio prodotto, ma anziché annunciare al mondo di avere un vaccino contro un'epidemia che ha già mietuto centinaia di migliaia di morti, ha preferito tacere e rendere pubblica la cosa solo il 9 novembre, a elezioni americane ormai giocate.

Cioè quando l'annuncio che ha fatto guardare con speranza (minuscolo questa volta) ai prossimi mesi, non poteva in alcun modo influenzare il voto per la Casa Bianca. In pratica, c'è la prova che il 3 novembre si è svolta una partita sulla pelle delle persone: senza esclusione di colpi e con la messa in moto di una macchina gigantesca, dai molti interessi economici.

Per capirlo bisogna fare un passo indietro e tornare alla metà di settembre, quando proprio Donald Trump a Philadelphia annunciò che il vaccino contro il coronavirus sarebbe stato pronto nel giro di tre o quattro settimane, ossia prima delle elezioni. La notizia di una soluzione contro la pandemia ovviamente avrebbe potuto influenzare il voto a favore di Trump, il quale dalla sua aveva i buoni risultati economici degli ultimi anni, il fatto di non aver scatenato guerre in giro per il mondo in cui morissero giovani americani e di aver pure contribuito alla pace in Medioriente, mettendo d'accordo Israele con alcuni dei suoi più irriducibili nemici.

Ovvio che se avesse potuto vantare anche la produzione del vaccino, l'uomo contro cui tutti i media e tutto l'establishment si erano scagliati avrebbe anche potuto rivincere una seconda volta, sconfiggendo Joe Biden. Dunque, quando Trump annunciò l'imminenza della distribuzione di un vaccino, il sistema si incaricò di smentirlo.

Per l'occasione, scese direttamente in campo il direttore dei Centers for Disease Control and Prevention, l'agenzia federale per la tutela della salute, il quale dichiarò di non aspettarsi che un vaccino contro il coronavirus fosse largamente disponibile per gli americani sino alla fine del secondo o del terzo trimestre del 2021. Risultato, l'annuncio di Trump è passato su tutti i giornali e le tv del mondo come la mossa disperata di un candidato che sa di andare incontro a una sconfitta e pur di vincere è disposto anche a propalare balle.

In realtà, grazie allo scoop di Repubblica sappiamo che il 29 ottobre Speranza già stava trattando le dosi del vaccino della Pfizer e lo stesso stava facendo l'Europa, che infatti ha comunicato che avrà presto a disposizione 200 milioni di dosi. Quanto fosse importante la notizia di un'arma contro il Covid lo ha dimostrato la reazione delle Borse. Quando il colosso farmaceutico ha annunciato di essere pronto a distribuire le dosi, tutti i mercati hanno festeggiato.

Milano è cresciuta del 5,43%, Londra del 4,66, Francoforte del 4,98, Parigi addirittura del 7,57 e il Dow Jones, a Wall Street, del 4%. Quanto avrebbe influito l'annuncio della Pfizer, che certamente aveva in tasca la notizia da settimane, se fosse avvenuto prima del voto? Probabilmente molto. Forse avrebbe addirittura cambiato il corso della storia, visto che il risultato di Biden non è stato quel successo travolgente anticipato da giornali e tv, con cui per mesi si è cercato di influenzare il voto.

Ognuno naturalmente è libero di pensare ciò che vuole di Trump, ritenendolo un presidente pittoresco, magari anche il peggiore tra quelli che si sono succeduti alla Casa Bianca. Una cosa però è certa ed è che mai come in queste elezioni si capisce che il grande business partecipa alle elezioni e conta più degli aventi diritto al voto.

Certo, è sempre stato così: la democrazia non è un pranzo di gala, ma un banchetto dove c'è chi vuole accaparrarsi la fetta più grossa a qualunque costo e passando sopra chiunque. Trump sarà anche un gran bugiardo, oltre che un pessimo presidente. Ma chi ha lavorato alla sua sconfitta mentendo al mondo non è migliore.

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Maurizio Belpietro