Giudici sì, ma imparziali
Il Consiglio superiore della magistratura (Ansa).
Politica

Giudici sì, ma imparziali

L'editoriale del direttore

Già nel 1972, Uberto Scarpelli, allievo di Norberto Bobbio, scriveva su Panorama della politicizzazione delle toghe, imputandola al Consiglio superiore della magistratura. E mai come oggi serve un Csm che non dipenda dai magistrati.


Tra le tante conseguenze negative del coronavirus ce n'è una positiva: la quarantena ha imposto agli italiani di restare in casa e ciò ha influito positivamente sulle vendite dei giornali, compreso quello che avete in mano, perché molte persone hanno impiegato il tempo agli arresti domiciliari per leggere. Per parte mia, ho ripreso in mano alcuni libri lasciati a metà e i volumi che raccolgono le edizioni passate di Panorama. Sfogliare le raccolte della vostra rivista mi porta ogni volta a scoprire inchieste e opinioni che meritano di essere rilette. Una di queste la trovate riprodotta qui a fianco. È uscita ai primi di gennaio del 1972, a firma di Uberto Scarpelli.

Il nome dell'autore oggi non vi dirà molto, perché dalla sua morte sono passati parecchi anni, tuttavia Scarpelli ha fatto per un decennio il magistrato per poi, dopo aver appeso la toga al chiodo, dedicarsi all'insegnamento. Filosofia del diritto era la sua materia e a Torino prese il posto di Norberto Bobbio, di cui fu allievo. Di lui rimangono numerosi saggi, molti dei quali dedicati all'analisi del linguaggio giuridico. Il commento scritto quasi 50 anni fa su Panorama, si occupa invece della politicizzazione della magistratura e prende spunto dalle parole del procuratore generale di Cassazione.

Inaugurando l'anno giudiziario, il pg dell'epoca, davanti all'allora presidente della Repubblica Giovanni Leone, disse in pratica che i giudici non devono mischiarsi con la politica, perché se la «loro vocazione è quella di cambiare la società con la lotta politica», devono prima cambiare mestiere e farsi eleggere, come tutti i comuni cittadini. Cioè, mezzo secolo fa, il più importante magistrato d'Italia, quello che ha il potere di avviare l'azione disciplinare nei confronti dei colleghi, avvertiva che le toghe rischiavano di non essere più al di sopra delle parti, come dovrebbero essere secondo la Costituzione, ma stavano diventando una parte politica che forzava l'interpretazione della legge in base alle proprie tendenze.

Sono gli anni in cui si fanno spazio le correnti, in particolare Magistratura democratica, un gruppo di sinistra che teorizza il cambiamento della società attraverso lo strumento giuridico. Ovviamente un cambiamento in senso marxista. E che dice Uberto Scarpelli di quanto denunciato dal procuratore generale? L'opinione sembra scritta oggi, perché l'allievo di Bobbio spiega che la spinta decisiva alla politicizzazione dei giudici l'ha data il Consiglio superiore della magistratura, ovvero l'organo di autogoverno delle toghe, quello che decide delle loro carriere, con promozioni e, se del caso, punizioni.

I padri costituenti avevano voluto il Csm con l'obiettivo di mettere al riparo i magistrati dalle influenze della politica, perché essendo giudici di se stesse, le toghe non avrebbero dovuto soggiacere alle pressioni del governo. Ma ahinoi l'idea dell'autogestione delle carriere, cioè di magistrati che decidono la sorte di altrI magistrati, non ha funzionato. Perché il giudice che deve promuovere o sanzionare non è sopra le parti, ma una parte.

Infatti il suo incarico non è a vita, ma temporaneo, e non è stato assegnato in base a un concorso o per sorteggio, ma dopo una campagna elettorale che il magistrato, o meglio la corrente che lo porta, ha fatto. Una campagna fatta a colpi di promesse, ovvio. E che promesse può fare una toga che si candidi a divenire uno dei componenti del Csm? Siccome non può offrire decisioni che riguardino la normativa, cioè modifiche di legge, l'unica merce di scambio sono le carriere. Cioè: chi cerca l'elezione promette che nei quattro anni a venire si occuperà di difendere gli interessi di chi lo ha votato, cioè della parte della magistratura che lo ha eletto.

Così si sono formate le correnti, ovvero i gruppi all'interno della magistratura che portano i propri candidati: prima al Csm e poi nei vertici dei tribunali. In pratica, nel Consiglio superiore della magistratura non si eleggono i migliori magistrati, quelli che in punta di diritto giudicheranno i colleghi e sempre in punta di diritto sceglieranno il magistrato più titolato per guidare una Procura. Si nominano quelli che in base alla tendenza politica faranno gli interessi del gruppo che li ha espressi.

In questo modo, nel Csm quelli di destra cercano di salvare dalle sanzioni i magistrati di destra e così fanno quelli di sinistra. Lo stesso vale per le promozioni. Ma siccome nessuno ha la maggioranza per decidere, alla fine le correnti si mettono d'accordo per spartirsi il potere. Io salvo il tuo e tu salva il mio. Io faccio far carriera al tuo e tu la fai fare al mio. Ecco spiegato, in parole semplici, che cosa sta dietro al mercimonio scoperchiato in questi giorni con la pubblicazione delle intercettazioni disposte dalla magistratura sul telefonino dell'ex capo dell'Anm. Il Csm non è l'organo di autotutela dei giudici, ma l'organo di auto-spartizione dei giudici.

È la garanzia di poter decidere in piena libertà chi debba andare avanti, senza il rispetto della legge e soprattutto del merito. Scrive Scarpelli nel 1972: «Il magistrato non è più il sacerdote della legge, è un uomo parziale come tutti noi, che dichiara con onestà e talora con compiacimento la propria parte». Non so se lo dichiari con onestà, ma certo mi sarebbe piaciuto leggere l'opinione dell'allievo di Bobbio a seguito della pubblicazione di intercettazioni in cui, pur riconoscendo l'assenza di reati, un magistrato dice che si deve comunque colpire un ministro dell'Interno, in questo caso Matteo Salvini. Il giudice è parziale, come tutti noi, e dunque può sbagliare. Ma qui si tratta di mandare in carcere qualcuno perché non la pensa come chi lo giudica.

Scarpelli scriveva che il problema era il Csm. Vero. Oggi, dopo lo scandalo, lo vogliono riformare e per farlo si stanno inventando di aumentarne i membri, quasi che moltiplicando i partecipanti alla spartizione, la spartizione si annulli. La realtà è che il Csm non dovrebbe essere elettivo. Chi giudica non può essere scelto da chi sarà giudicato, perché altrimenti sarà sempre di parte e dovendo tornare dopo quattro anni fra coloro che ha giudicato, starà bene attento a non farsi nemici.

Per di più, dopo quattro anni trascorsi al Csm, dovrà anch'egli fare carriera e chi verrà dopo di lui deciderà delle sue promozioni. No, l'autogestione, dove a turno le toghe diventano controllori di se stesse non potrà mai funzionare. L'unica possibilità per estirpare il mercimonio e la politicizzazione della magistratura è un Csm che non dipenda dai magistrati. Giudici sì, ma indipendenti, non al servizio di chi li elegge. Perché se la legge è uguale per tutti, lo deve essere anche per chi l'amministra.

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Maurizio Belpietro