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Poco Immuni e tanto inutile

Poco Immuni e tanto inutile

Storie e retroscena di quella che era stata lanciata come l’applicazione «killer» nella lotta alla pandemia, sotto l’attenta supervisione di Domenico Arcuri. E che invece, alla prova quotidiana, si è dimostrata un totale fallimento.


Non serve a niente», «È inutile». Basta scorrere le opinioni degli utenti per decretare il fallimento dell’applicazione Immuni. Una sentenza emessa nelle recensioni degli store online da cui è possibile scaricare l’app. Così emerge che in tanti hanno provveduto già a disinstallare l’app dal proprio smartphone. Non tanto per paventate invasioni nella privacy, quanto per conclamato insuccesso. Il naufragio trova, peraltro, riscontri nei dati ufficiali: le notifiche quotidiane si contano a poche centinaia. Il 14 febbraio, per esempio, sono partite appena 96 notifiche in un Paese che conta oltre 12 mila contagi al giorno, quando il bollettino viene considerato tutto sommato «buono».

Mentre i risultati latitano, sul conto delle casse statali sono finite spese che hanno fruttato poco. Certo, la società Bending Spoons, che ha realizzato tecnicamente l’app, non ha chiesto nulla. Una concessione per spirito d’emergenza. La gestione tecnica ha vissuto un passaggio di consegne, dalla Bending Spoons alla Sogei, società in house del ministero dell’Economia e delle Finanze e ai tecnici di PagoPa. Mentre al commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, è stata affidata la supervisione della macchina. Compresa la gestione del trattamento dei dati personali del call center. Le spese di manutenzione sono perciò nel bilancio complessivo di società pubbliche.

Quel che è certo, secondo quanto ricostruito da Panorama, è che Palazzo Chigi ha speso – tra ottobre e gennaio – 29.403 euro per «stimolare l’utilizzo dell’app Immuni». Un finanziamento del Dipartimento per l’informazione e l’editoria, destinato all’ufficio per le attività di informazione e comunicazione istituzionale e per il diritto di autore.

A questa cifra vanno aggiunti altri quattro mila euro spalmati tra 2020 e 2021, inseriti nel decreto Ristori, per la creazione del call center. Una misura annunciata con entusiasmo dall’ex ministra dell’Innovazione Paola Pisano: avrebbe dovuto rendere efficiente l’applicazione. Una svolta, insomma. Che non c’è stata: l’investimento, per quanto non esoso, si è rivelato impercettibile.

«Immuni è il pezzo di un meccanismo di tracciamento che non ha funzionato» dice a Panorama Enza Bruno Bossio, deputata del Pd. «Quando abbiamo affrontato in commissione alla Camera, avremmo voluto audire chi si prendeva davvero in carico l’app» ricorda la parlamentare dem, che ha seguito da vicino la vicenda. «E credo che la gestione di un’applicazione come Immuni non toccasse né all’ex ministra Pisano né ad Arcuri. Il compito spettava, fin dall’inizio, al ministero della Salute, visto che si trattava di una questione sanitaria. Ma questo è avvenuto in ritardo, quando ormai la reputazione dell’app era rovinata. Insomma, non ha funzionato l’intero processo, di cui Immuni è parte».

Del resto non è solo la vox populi o l’analisi degli esperti a bocciare lo strumento, lanciato la scorsa estate in pompa magna per combattere diffusione del Covid in Italia. Sono principalmente i numeri a confermare risultati ben inferiori alle aspettative di Immuni. Dal sito ufficiale risulta che più di 10 milioni di italiani hanno scaricato l’applicazione. Al di sotto delle attese, nonostante la massiccia campagna social portata avanti, per far installare l’app, dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e dal ministro della Salute Roberto Speranza.

«Una tecnologia viene usata quando si è certi della sua utilità, che non abbia effetti collaterali negativi» spiega Giovanni Salmeri, docente di filosofia all’Università di Tor Vergata. E, sintetizza l’esperto, «questo non si ottiene con banali manifesti pubblicitari, è assai più complicato e dall’esito molto più incerto».

La media nazionale di download, calcolata sulla popolazione sopra i 14 anni, è al 19,4 per cento. Ma ci sono alcune regioni in cui la cifra è ferma al 14 per cento, come la Campania. Giusto un po’ meglio fa la Sicilia con il 14,3 per cento, mentre la Calabria si attesta al 14,6 per cento. Gli investimenti in comunicazione non si sono rivelati vincenti. Ma non è che altrove vada tutto a gonfie vele: l’Emilia-Romagna è alla testa della classifica dei download, con il 24,4 per cento della popolazione considerata dalle statistiche che ha installato l’app. E ovviamente in queste cifre non c’è chi ha provveduto a rimuoverla per manifesta inutilità.

Non è un fatto casuale, del resto, se in Italia ci sono stati quasi tre milioni di contagi da Covid certificati (senza tener presenti quelli sfuggiti dai radar), mentre gli utenti positivi registrati da Immuni sono a malapena 12 mila per un totale di quasi 90 mila notifiche inviate. Certo, il sito avvisa che questa cifra non è precisa, perché non conteggia tutte le notifiche su dispositivi Android. E non è che sia proprio qualcosa di cui farsi vanto. «Immuni è stata inserita all’interno di un sistema arcaico, basato su telefonate, trascrizioni a mano, comunicazioni aleatorie, liste di attesa come all’annona negli anni di guerra. Come poteva essere decisiva?» osserva Salmeri.

Sono poi numerose le storie di malfunzionamenti e inciampi assortiti che hanno reso complicato il cammino dell’app. Tanto per rendere l’idea, alcune persone hanno riferito a Panorama di aver ricevuto una notifica due settimane dopo la presunta esposizione sospetta. In pratica oltre i 14 giorni previsti per la quarantena precauzionale. Sempre secondo le testimonianze riportate dagli utenti, sono decine e decine i casi in cui la notifica non è nemmeno mai partita.

Il motivo? Spettava al personale delle Asl l’invio del codice per segnalare che un soggetto era positivo, mettendo in moto il meccanismo di tracciamento dell’app, che con una notifica indicava una «esposizione a rischio» (senza specificare quale fosse, in ossequio alla privacy).

Così il precedente governo ha provato a correre ai ripari, lanciando il call center nazionale, prontamente sparito dai radar. Senza dimenticare il problema riferito nei mesi scorsi: su alcuni telefoni, in particolare quelli meno aggiornati, l’app non era utilizzabile. In altre situazioni, invece, il consiglio è stato di aprire l’applicazione almeno una volta al giorno. Così, per vedere se c’è qualche notifica… non notificata in tempo reale.

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