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Tecnologia

L'illusione della fusione fredda e dell'energia pulita

Dietro gli annunci arrivati dagli Usa al dura verità: per creare energia ad uso civile ci vorranno decenni. Se mai si riuscirà a farlo

Negli Stati Uniti per la prima volta si è dimostrato su base scientifica l’efficacia del confinamento inerziale per ottenere la fusione nucleare, il primo passo verso l'energia pulita. Nella struttura sperimentale del Lawrence Livermore National Laboratory l'esperimento di fusione nucleare ha prodotto infatti più energia di quella necessaria per innescarla. L’esperimento, ha dichiarato la segretaria all’Energia Jennifer Granholm, ha ricreato «alcune condizioni che si trovano solo nelle stelle e nel sole. Questa pietra miliare ci avvicina di un passo significativo alla possibilità di avere un’energia a emissioni zero di carbonio che alimenti la nostra società». Ma nella conferenza stampa si è sopratutto sottolineato sin dalle prime battute l’aspetto legato ai test nucleari e non all’uso civile dove è stato ribadito che la fusione nucleare inerziale è stata studiata per mantenere: “la deterrenza nucleare sicura, protetta, efficace e affidabile senza test nucleari sotterranei perché la fusione inerziale è un processo chiave per le armi termonucleari”. Certamente una svolta storica dal punto di vista scientifico ma poco praticabile per la produzione di energia.
«L’esperimento definito svolta storica non servirà a produrre energia per uso civile. È certamente un primo passo ma siamo molto lontani dalla svolta storica e dal punto di vista energetico non ha nessuno significato» commenta il fisico Emanuele Negro

Cosa può dirci sull’esperimento di Washington?

«Ho ascoltato la conferenza stampa del DOE americano e c'è una forte enfasi sull'aspetto militare dell'esperimento per il cosiddetto programma nuclear stockpile stewardship, ovvero il mantenimento in efficienza dell'arsenale nucleare che poco ha a che fare con la produzione di energia per uso civile. Perché in questo tipo di fusione inerziale l’energia prodotta dura un miliardesimo di secondo. Quindi è impossibile usare questo esperimento come modello per un reattore nucleare perché non potrà mai produrre energia in modo continuo. È interessante dal punto di vista della ricerca fondamentale ma non bisogna confondere questo con una ricerca finalizzata ad una dimensione industriale, sennò si gioca sull’equivoco. Al momento la fusione nucleare è una fonte energetica che non esiste».

Qual è la differenza con il progetto Iter?

«Sono due modalità completamente diverse. Questa si basa sulla 'compressione' di una pallina di deuterio e trizio ad opera di laser fino ad ottenere la fusione dei nuclei. È un processo altamente impulsato e non ci sono ipotesi su come raccogliere l'energia prodotta dalla fusione. Mentre Iter ha invece le componenti attorno al tokamak previste per recuperare l'energia di fusione per un successivo utilizzo per la produzione di elettricità, in vista di un futuro reattore commerciale. Iter e Ignitor sono dei reattori di tipo tokamak, il principale filone di ricerca degli ultimi 50 anni che nasce da un progetto russo consistente nel confinare grazie a dei campi magnetici il plasma che scaldato porta alla fusione dei nuclei di deuterio e tritio cercando di far durare il processo il più a lungo possibile per ottenere una produzione di energia semi-continua. L'esperimento di fusione inerziale recentemente realizzato nel laboratorio americano Lawrence Livermore invece non è concepito per raccogliere energia ma per capire la fisica dei processi di fusione di una miscela di deuterio-tritio in seguito ad una forte compressione ad opera di laser, un processo molto simile a quello che permette ad una bomba H di esplodere».

Si arriverà mai a produrre energia con la fusione nucleare?

«È impossibile stabilire quando ci saranno dei progressi che portino alla produzione di energia con la fusione nucleare. Anni fa ho realizzato per conto del Parlamento Europeo uno studio sulla fattibilità della fusione. In quell'occasione avevo intervistato i direttori dei principali centri europei di ricerca sulla fusione. In modo molto chiaro, alle volte esplicitato apertamente, altre confidenziale, erano tutti concordi sul fatto che si trattasse di un'avventura scientifica straordinaria, ma che ben difficilmente avrebbero visto nel corso della loro vita un reattore commerciale. Per darle un'idea dei tempi necessari, quando lavoravo al progetto Jet negli anni 80 si stava progettando la macchina che si chiamava Next e che poi è divenuta Iter e che oggi dopo 30 anni non è ancora in funzione. Ecco penso che questa questione dei tempi e delle risorse dovrebbe essere molto chiara. La transizione energetica richiede risposte rapide ed è fattibile con risorse tecnologiche attuali; pensare che la risposta possa venire dalla fusione è del tutto fuorviante perché una possibile sua realizzazione non è compatibile coi tempi imposti dall'uscita dalle fonti fossili».

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Linda Di Benedetto