Fase 2, arriva il drone che scova chi è soggetto al coronavirus
(Dragnafly)
Tecnologia

Fase 2, arriva il drone che scova chi è soggetto al coronavirus

Il progetto sviluppato in Australia permette di monitorare le condizioni di salute delle persone riunite in aeroporti, stazioni, navi, case di cura e luoghi di ritrovo

Un drone per ripartire in sicurezza, è un'altra soluzione che si aggiunge all'elenco di strumenti utili per consentire di riprendere le attività e avvicinarsi a una parvenza di quotidianità simile all'era precedente all'emergenza sanitaria, rispettando le norme base per recarsi in luoghi pubblici e privati e interagire con amici, colleghi, clienti e sconosciuti. L'idea arriva da lontano, perché nasce in Australia e sfrutta un drone realizzato dai canadesi di Draganfly, una delle prime aziende a dedicarsi allo sviluppo di velivoli che si pilotano da remoto, e consente di tastare il polso alla popolazione per individuare le condizioni di salute laddove si riuniscono una massa di persone.



Perché è importante

Utilizzati da anni in campo militare, agricolo e commerciale, anche ma non solo per questioni di sicurezza, il velivolo in questione è stato ribattezzato "pandemic-drone" poiché permette di rilevare lo stato di salute, quindi l'eventuale presenza di febbre, il battito cardiaco e il livello respiratorio di individui presenti in una data area per analizzare le condizioni generali e scovare chi è soggetto a possibili infezioni. In tal senso, il piccolo mezzo individua anche starnuti e colpi di tosse, elementi utili per misurare la salute della popolazione. Quest'ultimo è, infatti, l'obiettivo del progetto, che non mira a identificare le singole persone, tanto che tra le varie tecnologie integrate non c'è il riconoscimento facciale. Per comprendere il funzionamento si può immaginare un'ala di un centro commerciale, dove sono radunati magari diverse centinaia o qualche migliaia di individui, dai quali tramite il volo e l'elaborazione in tempo reale delle immagini filmate (via cloud, con Amazon Web Services e Fortinet) si ricavano in 15 secondi dati generali significativi del campione in questione. Al netto degli ostacoli, rappresentati da chi indossa una felpa con il cappuccio e l'illuminazione che può pregiudicare parte dell'inquadratura, ottenendo e combinando più volte indicazioni complessive su febbre, tosse, frequenza cardiaca elevata si ricava il quadro sanitario e comprende se e come bisogna intervenire. Non siamo di fronte, quindi, a un dispositivo in grado di stabilire se qualcuno risulti essere contagiato al Covid-19, ma a un mezzo che consente di esaminare il tasso di malattie infettive e respiratorie all'interno di una zona.



Una collaborazione pluriennale decisiva

Per capire come si sia arrivati a questo punto bisogna fare un passo indietro. Nel 1998 la Dragonfly fu fondata a Saskatoon, nella provincia canadese del Saskatchewan (confine con Montana e Dakota del Nord), dedicandosi allo sviluppo di velivoli privi di pilota non mirati al mercato consumer ma alla fornitura di mezzi in campo militare e per le autorità cittadine, focalizzandosi sulla pubblica sicurezza. Non a caso, nel 2013 la compagnia fondata da Zenon Dragan è salita alla ribalta per esser stata la prima a salvare la vita di un uomo (vittima di un incidente automobilistico in un bosco canadese e non individuato dagli elicotteri della polizia). A facilitare lo sviluppo del drone anti virus è stata la collaborazione tra le parti in causa, perché l'Università del South Australia (UniSA) ha acquistato il primo drone da Dragonfly nel 1999. Così dopo il primo test effettuato nella città di Westport, nel Connecticut, considerata un focolaio del coronavirus, gli australiani hanno rispolverato un algoritmo sviluppato nel 2017 per l'elaborazione delle immagini e in grado di monitorare temperatura, battito cardiaco e frequenza respiratorie delle persone mediante i video girati con un drone. Unendo a questo tecniche di rilevamento di precisione con un raggio di 5-10 metri di distanza dalle persone e telecamere fisse a una distanza di oltre 50 metri, è arrivato il drone che, secondo il professore Javaan Chahl, capo dei ricercatori che hanno realizzato l'algoritmo, concepito in principio per rintracciare presenze umane in zone di guerra, nelle aree colpite da disastri naturali e in caso di emergenze, può essere una soluzione "per contribuire a salvare delle vite nella più grande catastrofe sanitaria degli ultimi 100 anni, senza rilevare tutti i casi ma offrendo dati affidabili per rilevare la presenza della malattia in un determinato luogo o in uno specifico gruppo di persone".

Dove vedremo il drone

Il prossimo passo sulla tabella di marcia è completare le sperimentazioni entro i prossimi sei mesi per arrivare poi sul mercato, anche perché, grazie alla sua forma, il drone può attraversare in luoghi e spazi stetti, chiusi e affollati. I potenziali usi si allargano, quindi, a uffici, case di cura, aeroporti, stazioni ferroviarie, navi da crociera e luoghi di ritrovo. Un passo che amplierà l'importanza strategica dei velivoli pilotati a distanza che, nel corso dell'emergenza sanitaria, in Cina sono stati utilizzati per consegnare farmaci e strumentazioni mediche in zone remote, ma anche per velocizzare la disponibilità delle stesse attrezzature perché, quando si tratta di guadagnare tempo, i droni possono rivelarsi una risorsa preziosa, talvolta unica.

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Alessio Caprodossi